Nugae – Intromissioni
La vita procede placida tra un acquazzone e l’altro, sempre cercando se stessi e trovando solo vestiti in saldo, sempre immergendosi in libri dalla copertina appariscente e dimenticandosi di scendere alla fermata del tram, sempre con l’ambizione di riuscire a fare tutto e non riuscendo nemmeno in quella di tenere a bada i capelli. Nel frattempo la realtà, che a volte da una vietta del centro a volte da più lontano (ma poi non molto) omaggia di tormenti gli individui dall’esistenza magari anche un po’ meno fatua di questa, decide d’intromettersi. Ma la cosa interessante è che lo fa senza per forza strillare e in momenti non per forza scontati. Così, mentre il mondo non organizzatissimo delle organizzazioni ebraiche continua giustamente a pianificare eventi colorati, abbracciare cause importanti e affrontare amorevoli critiche, anche dopo giorni dal trauma, in mezzo a tanto promuovere e annunciare, ha l’istinto di dare spazietti virtuali a tre nomi, tre facce, o tre candele. In una giornata hanno letteralmente la durata di un fotogramma, ma il cervello comunque li registra, tipo i messaggi subliminali, facendo arrivare al venerdì con con pesantezza particolare ma dall’origine quasi inavvertita. Poi finalmente arriva il week end, e mentre in un’automobile quattro amici tornano a casa sfiancati da una gita di un giorno, con le teste dei fortunati che non guidano pesantemente appoggiate al finestrino, una radio in fiammingo tira fuori qualche parola piena di suoni gutturali su Israele. In quell’istante, anche se nessuno ci ha capito un bel niente, sono d’un colpo tutti sveglissimi. Quella sera stessa, il Belgio di tifosi eccessivamente entusiasti come se avessero vinto già il mondiale e non una sola partita viene eliminato dall’Argentina in qualche misero minutino di gioco. Quando finisce la partita, Bruxelles si trasforma in un insensato umido deserto e regna un silenzio da foresta incantata. E più che della sconfitta, sembra che si accusi il colpo del ritorno da quel turbine di parrucche colorate alla famosa, luttuosa, realtà. Ecco, quel silenzio immobile è la reazione migliore di tutte, perché tanto ormai – anche se non è mai una scelta popolare – non c’è più nulla da dire. L’unica voce che dovrebbe risuonare è quella di una mamma che recita il kaddish. E nel frattempo, da lontano (ma poi non molto), con la mitica saggezza antica è il caso di rallegrarsi più consapevoli che mai della fortuna di ogni momento buono della tanto vituperata vana esistenza, perché prima o poi arriverà sicuramente un altro acquazzone e non in senso metaforico.
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF