Le parole di Rachel
“Gli assassini dei nostri figli, chiunque li abbia mandati, chiunque li abbia aiutati, saranno tutti portati davanti alla giustizia. Vogliamo i veri responsabili, non altri. Nessuna madre, nessun padre dovrebbe passare quello che stiamo passando noi. E il nostro è lo stesso dolore dei genitori di Mohammed Abu Khadir”. A parlare è Rachel Frankel, madre di Naftali, uno dei tre studenti israeliani rapiti e uccisi da terroristi palestinesi. La donna, insieme ai suoi famigliari, ha poi aggiunto: “Non c’è differenza tra il sangue di un ragazzo ebreo e quello di un arabo. Un assassinio è un assassinio, non esiste giustificazione, non esiste perdono”.
Queste parole ci fanno piangere e ci portano a nutrire una speranza. Di fronte al più efferato dei crimini, alla sofferenza più enorme, di fronte al proprio figlio trucidato, Rachel Frankel (la stessa che aveva preso la parola alle Nazioni Unite) trova la forza di immedesimarsi in un’altra madre che ha perso il figlio in modo altrettanto terribile, e di spiegare che l’odio e la violenza non possono placare o lenire il dolore. I vertici israeliani hanno telefonato alla famiglia di Mohammed e hanno pubblicamente dichiarato che non è tollerabile farsi giustizia da soli, che ogni violenza e ogni atto di terrore va condannato, anche in omaggio alla tradizione ebraica.
Le parole straordinarie di Rachel mostrano la grande maturità della maggioranza degli israeliani. Rimane l’aspirazione alla pace, in cui è sempre più difficile credere, e la volontà di chiudere un conflitto con i palestinesi che, nel frattempo, è uscito dai radar della “geopolitica che conta”. Ci sono certamente frange estremiste, ma la maggioranza silenziosa della popolazione non vuole la guerra. È probabile che una simile maggioranza esista anche tra i palestinesi, ma è chiaro che l’assetto istituzionale è talmente più fragile, frastagliato, confuso, e le condizioni così differenti, che è difficile immaginare una polizia palestinese in grado di arrestare gli assassini di Eyal, Gilad e Naftali, come ha rapidamente fatto quella israeliana.
In tutto questo, permane il grande vuoto della politica, in Israele come tra i palestinesi. Finita la generazione dei Rabin, Sharon, Peres, ci dobbiamo affidare a politici meno autorevoli, più deboli, spesso discussi anche per vicende giudiziarie. Non so che cosa accadrà nelle prossime ore, ma senza un progetto di lungo periodo e una visione lungimirante, da una parte e dall’altra, sarà difficile spezzare la spirale dell’odio e tessere il filo, sempre esile, della pace.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(8 luglio 2014)