Israele – Vivere sotto attacco

sderot sirenaVoce resilienza del vocabolario: capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi. Per l’American psychological association la resilienza invece è quel processo che permette di far fronte in modo positivo alle avversità, ai traumi, alle tragedie della vita o a significative condizioni di stress. Significa rialzarsi dopo aver patito esperienze difficili. A Sderot, nel sud di Israele, conoscono bene il significato di resilienza.
“Il numero dei nostri concittadini che si portano dietro gli effetti di forti esperienze traumatiche è altissimo, quasi pari a un terzo della popolazione”, dichiarava un anno fa David Bouskila, sindaco della piccola città (24mila abitanti) che dista circa due chilometri dalla Striscia di Gaza. Secondo una ricerca pubblicata pochi anni fa sulla rivista americana Journal of Adolescent Health, quasi la metà dei bambini tra i dodici e i tredici anni di Sderot mostrava segni di disturbi post traumatici da stress. “So quanto sia difficile non dormire la notte, quanto sia difficile per le vostri madri e quanto vorreste avere una vita normale”, dichiarava lo scorso novembre ai ragazzi della città de bunker il presidente di Israele Shimon Peres, in visita per esprimere alla cittadinanza la propria solidarietà dopo l’ennesimo lancio di razzi da parte dei terroristi di Hamas. “Lo stato di Israele deve ascoltare i bambini di questa regione e proteggerli”. Per questo è stato messo a punto il sistema di difesa antimissile Iron Dome, la Cupola di ferro che, stando alle dichiarazioni dell’esercito israeliano, è risultato in luglio efficace nel 90% dei casi.
A Sderot, come ad Ashkelon o Netivot ma anche a Bersheeva e ad Ashdod, il suono della sirena è un suono famigliare. Un urlo che squarcia il cielo e richiama tutti a mettersi in salvo perché l’ennesimo razzo è in arrivo. Nelle zone più vicine alla Striscia si ha una manciata di secondi per trovare rifugio. In un video che circola su internet si vede Usain Bolt, l’uomo più veloce del mondo, percorrere duecento metri nel suo famoso e straordinario record di 19.66. A Sderot ne hanno 15 per trovare il più vicino rifugio. Qui ogni tre case c’è un bunker antimissile. Qui sannobene cos’è la resilienza. Resistere agli urti e non spezzarsi. Resistere e continuare a vivere. Nonostante le sirene, i razzi, le esplosioni. Dopo l’inizio dell’Operazione Tzuf Eitan/Protective Edge (Roccaforte/ Margine protettivo), l’azione israeliana iniziata nel luglio scorso a seguito dell’aggressione da parte di Hamas, le sirene sono risuonate in tutta Israele. Dal sud, primo obiettivo dei missili dei terroristi, fino a Tel Aviv, Gerusalemme e alle zone più a nord come Hadera. La gittata dei missili a disposizione di Hamas e dei gruppi estremisti che controllano Gaza è aumentata. Quello che ha raggiunto Hadera era un M-302, lo stesso tipo di razzi che costituiva parte del carico sequestrato dalle autorità israeliane a una nave che navigava nel Mar Rosso in marzo. Un armamentario che, secondo l’Idf, proveniva dall’Iran con direzione Gaza. Missili a lunga gittata per colpire Israele e i suoi civili. Davanti all’intensificarsi dei razzi in tutto il paese, diversi media hanno dato diffusione al video realizzato dal comando delle retrovie israeliano (www.oref.org.il) in cui si descrive come agire in caso scatti l’allarme antimissile o si sentano esplosioni.
Nel caso ci si trovi all’aperto, ad esempio, si deve entrare nell’edificio più vicino, a seconda del lasso di tempo a disposizione. Una volta entrati, non bisogna rimanere nei pressi dell’ingresso. Qualora non vi sia nell’immediata vicinanza un edificio o se ci si trovi in uno spazio aperto, ci si deve sdraiare sul terreno e proteggere la testa con le mani. Indicazioni che sembrano scontate, a cui forse qualcuno reagisce con sufficienza come quando in aereo seguiamo distrattamente le indicazioni del personale di volo sulle regole di sicurezza. Eppure se per l’aereo si tratta di casi rarissimi, l’allarme dei razzi per Israele è una realtà. Secondo quanto riporta l’esercito israeliano, negli ultimi 7 anni ad esempio, sul sud di Israele sono stati lanciati una media di 3,5 razzi al giorno. Un carico di violenza e stress con cui doversi confrontare. A cui rispondere con la resilienza, la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, agosto 2014

(16 luglio)