Dialogo – Un pallone per incontrarsi

ishot-59“Quest’anno la squadra brasiliana non si è iscritta. Sono tornati tutti a casa. Poi alla fine non erano troppo contenti…”. Quindici nazioni e una coppa da sogno, niente rappresentativa verdeoro ma in compenso un trofeo della stessa forma, dimensione e peso di quello in palio allo stadio Maracanã di Rio De Janeiro a 10mila chilometri di distanza. Mentre Brasile e Croazia inauguravano il momento più bello per il mondo del pallone, a Tel Aviv si disputavano i primi incontri della quarta edizione del Mundial di calcio a cinque targato Ghetton, come racconta il suo fondatore Yasha Maknouz. “Quello del Mundial – spiega – è un appuntamento molto sentito. È davvero bello ritrovarsi in così tanti e di così tante origini tutti insieme, a parlare un ebraico sgarruppato e un inglese approssimativo e soprattutto vedere come ciascuna squadra rappresenti davvero il dna calcistico della propria nazione da un punto di vista tecnico e tattico, l’Italia, l’Inghilterra, l’Argentina…”. È stato lui, nel 2002, a cominciare a organizzare tornei sportivi nell’ambito della Comunità ebraica di Milano. Così è nata Ghetton, che qualche anno dopo è sbarcata insieme a lui a Tel Aviv, pur continuando a far giocare insieme decine di ragazzi nel capoluogo lombardo, con il campionato principale e quello Under 18. Anche in Israele, oltre al Mondiale, si gioca tutto l’anno in squadre ‘miste’. “Diciamo che al campionato regolare partecipano soprattutto israeliani, mentre al Mundial abbiamo soprattutto olim, nuovi immigrati”. Alla patria d’origine, Yasha ha fatto solo una piccola concessione: è stata l’unica a poter schierare due compagini, una senior, l’altra Under 21. Un’opportunità che non è servita a molto visto che entrambe non sono riuscite a superare i gironi, confermando un’estate magra per gli azzurri a ogni latitudine. A rendere davvero speciale la stagione di Ghetton appena conclusa è stata soprattutto la messa in regime della sua collaborazione con Inter Campus, il progetto di responsabilità sociale di FC Internazionale che lavora per aiutare l’infanzia disagiata attraverso lo sport in oltre venti paesi nel mondo, e che dall’estate 2013 ha scelto Ghetton come partner per Israele e Territori palestinesi. La città araba di Jaljulia, il quartiere a sud di Tel Aviv dove vivono molti rifugiati africani e richiedenti asilo, il kibbutz Shfaim, sulla costa poco distante da Herzliya, due diversi villaggi in Cisgiordania e poi Nazareth, le località sede del progetto, che prevede allenamenti settimanali con un totale di 250 bambini tra i 9 e i 14 anni, e la possibilità di incontrarsi e giocare tutti insieme, ovviamente in squadre miste, una volta al mese. “Se penso al primo incontro che abbiamo fatto in autunno, alla diffidenza e alla scarsa fiducia che si respirava, e invece l’atmosfera in cui ci siamo salutati all’ultimo, tra baci, abbracci, in una vera festa… Possiamo davvero dichiararci soddisfatti” sottolinea Maknouz, che rimane tra l’altro un interista sfegatato. Qualche piccolo problema nel corso dell’anno non è mancato. Poco prima dell’inizio della stagione, il gruppo di un villaggio vicino a Betlemme si è tirato indietro temendo ritorsioni e il timore di esporsi per molti rimane. “Però l’effetto di mettere in campo ragazzini di origine diversa tutti con la stessa maglia è davvero incredibile” ribadisce Yasha. Forse, spiega, il progetto maggiormente riuscito è quello dell’area sud di Tel Aviv. “Ci sono i figli di tanti immigrati e di profughi, soprattutto sudanesi, bambini che spesso hanno in Israele un solo genitore che lavora tutto il giorno e che passerebbero davvero le giornate per la strada. E poi hanno una vivacità pazzesca, è un piacere vederli giocare con gli altri”. A occuparsi dei centri, allenatori locali preparati dallo staff dell’Inter, che fornisce anche le divise per tutti i piccoli calciatori. “Per le altre spese dobbiamo arrangiarci a trovare finanziamenti. Però mi ha reso particolarmente felice il fatto che tanti amici, soprattutto arrivati dall’Italia si sono offerti di dare una mano come volontari. Per esempio, per l’anno prossimo ci piacerebbe provare a insegnare ai nostri ragazzi, specie nel centro del sud di Tel Aviv, un po’ di inglese. Per dare loro una lingua comune”. A riconoscere l’importanza del progetto, che l’anno prossimo punta a espandersi coinvolgendo i bambini dai sei anni in su, anche l’ambasciatore d’Italia in Israele Francesco Maria Talò, che ha invitato i ragazzi di Inter Campus ad assistere alla partita del Mondialie Italia-Uruguay nella sua residenza, alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso, in quei giorni in visita nella regione. Ancora una volta l’esito per i colori azzurri non è stato proprio confortante. Ma la festa è stata comunque grande per tutti.

Rossella Tercatin, da Pagine Ebraiche settembre 2014

(4 agosto 2014)