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L’omaggio di Bildzeitung – I volti dei caduti

Bild - I volti dei cadutiUn tappeto colorato di facce, sorridenti nel minuscolo spazio dei loro quadratini, ricopre una paginona del quotidiano tedesco Bild Zeitung. Non è l’immagine di una qualche organizzazione umanitaria, né la pubblicità di una marca di vestiti: dietro a quelle sfumature di rosa ci sono le vite dei soldati delle Forze di Difesa Israeliane, deceduti durante la recente Operazione Margine di Protezione. Sono 64 ragazzi, accompagnati dal loro nome e da una breve biografia. Il grande titolo in nero dice: “Israele combatte il terrorismo di Hamas: i volti dei caduti”. Ma il catalogo che ne risulta più che di volti è di ricordi e di sentimenti. Benaya Sarel, 26 anni, stava per sposarsi. Come lui è morto il suo compagno Liran Adir, 31 anni: “anche lui era innamorato, aveva appena celebrato il suo matrimonio”. Tra loro c’è anche Eitan Barak, 20 anni, il primo soldato ucciso nell’operazione. E poi il ventunenne Matan Gotlib, un alpinista appassionato che stava per terminare i suoi tre annidi servizio, il cui fratello di dieci anni più grande ha chiesto commosso: “Sapreste dire quanti fratelli maggiori guardano con così tanta ammirazione i loro fratelli minori?”. La redattrice Anne-Christine Merholz apre l’articolo così: “64 soldati israeliani morti, 64 figli, fidanzati, mariti che non potranno mai tornare dalle loro famiglie. Sono caduti combattendo Hamas a Gaza rappresentando la loro patria”. Un pezzo che colpisce non solo per il tono coinvolto e coinvolgente, ma anche per il giornale che lo ospita. Build Zeitung infatti è uno dei giornali più letti, coraggiosi e controversi non solo in Germania, ma in Europa. Per rendersi conto di come stanno le cose altrove, l’idea migliore è sempre rivolgersi a un autoctono. In effetti essere stata testimone delle facce di tre colleghi tedeschi quando hanno visto l’articolo in questione ha reso bene l’idea di quanto sia davvero insolito. Alla domanda: “cosa pensate di Bild?” hanno risposto prima con una risata imbarazzata, seguita da un paio di commenti criticanti, per finire con “però ho molti amici che lo leggono, e io stesso qualche volta lo faccio per capire davvero la situazione”, come spiega Ben. Un articolo dell’autorevole settimanale Der Spiegel lo definisce così: “Per i politici tedeschi, è un male necessario. Per i giornalisti tedeschi, una lettura giornaliera obbligatoria. E per milioni di tedeschi è la fonte primaria d’informazione”. Quello che viene maggiormente criticato a questo quotidiano popolare pubblicato in formato lenzuolo con colori e immagini brillanti, in competizione con il britannico Sun ma decisamente più letto (è il primo giornale non asiatico per numero di lettori), è da una parte il tono un po’ strillato, dall’altra la presenza di immagini femminili non sempre coperte. A differenza di alcuni concorrenti nordamericani, “Bild non si basa troppo su storie create in redazione – piuttosto, preferisce trasformare anche la notizia più microscopica in un evento destinato a cambiare il mondo e pericoloso per la vita come la conosciamo. Spesso si spinge troppo lontano”, continua Der Spiegel. Nonostante questo sensazionalismo, Bild ha non solo un’enorme influenza sulla società, di cui viene considerato la voce, ma anche sulla politica tedesca. Fondato nel 1952 da Axel Springer, è stato nutrito di scandali, sensazionalismo e pelle scoperta per diventare il fenomeno nazionalpopolare che è oggi. Tradizionalmente, da un punto di vista politico Blld tende ad essere conservatore: durante la Guerra fredda, ci vollero molti anni perché ammettesse che la Germania Est era una nazione separata. Il suo statuto, che risale al 1967 ed è stato aggiornato nel 2001, tuttavia rivela grandi sorprese. Per esempio include un impegno esplicito a promuovere la riconciliazione tra ebrei e non ebrei in Germania e a sostenere il diritto di Israele ad esistere. E così si spiega l’accorato articolo, un’operazione volta a sensibilizzare l’opinione pubblica tedesca su un conflitto fin troppo dibattuto e frainteso. E tutto diventa molto chiaro alla luce dello storico motto di Bild, “Bild dir deine Meinung!”. Che si può tradurre come “fatti la tua opinione!”, ma non bisogna essere tedeschi per cogliere una certa assonanza che sa di suggerimento anche a tanta stampa occidentale incapace di raccontare onestamente le ragioni di Israele.

Francesca Matalon

(14 agosto 2014)