Le reticenze dell’Occidente nei confronti di Hamas

sdpCaro direttore, Antonio Ferrari, in un commento apparso sul Corriere del 23 agosto, coglie nel segno quando, riferendosi alle esecuzioni di supposti «collaborazionisti» sulla pubblica piazza a Gaza, scrive che «difendersi ricorrendo alla concorrenza della ferocia è una barbarie che si rivelerà anche politicamente suicida». L’osservazione nasce dall’analogia, che molti notano, fra le azioni dell’incappucciato che ha barbaramente trucidato il giornalista americano James Foley nel nome del califfato islamico, e quelle degli incappucciati palestinesi che a Gaza hanno fucilato decine di persone nel nome della lotta di liberazione di Hamas. L’obiezione che si tratti di due situazioni completamente diverse non sembra reggere al vaglio di un’osservazione più attenta. In entrambi i casi gli incappucciati fanno parte di movimenti islamici armati, di ispirazione sunnita, dediti alla «liberazione» del loro territorio da una supposta «occupazione» straniera: in Iraq, dalle ingerenze del mondo americano e occidentale, ma anche sciita, curdo, cristiano e yazida; a Gaza, da quelle di Israele, ma anche dell’Autorità palestinese, di fatto cessate nell’agosto 2005. In entrambi i casi l’esecuzione pubblica avviene senza alcuna procedura legale nella quale sia stata fornita una prova di colpevolezza e sia stato consentito ai condannati a morte di far udire le proprie ragioni. Ma al di là del parallelismo nelle tragiche coreografie, in entrambi i casi il problema di fondo è quale società civile vorrebbero creare questi movimenti di «liberazione» se dovessero riuscire nel loro intento; quali sarebbero le istituzioni democratiche e le garanzie civili, quali i diritti delle minoranze etniche e religiose, del genere femminile, dei diversi. L’Occidente, che certo si riconosce in questi parametri irrinunciabili, e che sembra pretenderli senza compromessi da parte dell’lsis, appare invece stranamente reticente nel richiedere lo stesso ad Hamas. La rappresentazione mediatica e politica dei fatti in Iraq e a Gaza resta in gran parte divisa da paratie stagne, e questo lancia un segnale preoccupante sulla capacità e volontà di giudizio in Occidente. Resta infine l’inquietante domanda: chi paga?

Sergio Della Pergola

(Corriere della Sera 26 agosto 2014)