…Bibi

Se è vero, come affermano i suoi dirigenti, che Hamas ha vinto l’attuale round del conflitto con Israele, non ci resta che augurare cento di queste vittorie a Khaled Meshaal e Ismail Haniyeh. Il cessate il fuoco può durare finché l’inevitabile stillicidio di ulteriori colpi di mortaio non supererà il limite di tolleranza, causando la reazione israeliana e la ripresa dei lanci di razzi da Gaza. Quello che invece si profila in Israele (a parte un possibile riscaldamento del confine siriano) sono nuove elezioni, in cui Benjamin Netanyahu dovrà cercare di farsi rinnovare il mandato alla luce della sua conduzione dell’ultima campagna. Come è noto, Churchill e Truman conclusero vittoriosamente la Seconda guerra mondiale ma, rispettivamente, i conservatori e i democratici persero le prime vere elezioni politiche del dopoguerra. Bibi rischia un destino simile. Ha condotto con insospettata sobrietà le operazioni degli ultimi due mesi, assecondato dal ministro della Difesa Ya’alon e dal Capo di Stato maggiore Gantz. Sarebbe certo stato possibile infliggere a Hamas una punizione assai più dura, ma al prezzo certo della perdita di centinaia di giovani soldati israeliani oltre che di altre migliaia di palestinesi (armati e no): un prezzo facile da pretendere da chi non ricopre ruoli di responsabilità, ma impossibile per chi poi deve parlare con le famiglie dei caduti e affrontare l’ipocrita politica internazionale. La fazione populista dunque facilmente attaccherà Netanyahu, cosí come continuerà a farlo chi parla di pace con Hamas senza confrontarsi con la vera natura del movimento degli incappucciati. Netanyahu, oggi a malapena in controllo del suo esecutivo, ha dalla sua un’ulteriore possibilità: un rimpasto sostanzioso, con l’uscita di Bennett e di Liberman (23 seggi insieme) e l’entrata dei Haredim (Shas e Yahadut Hatorah) e magari Kadima (insieme +20). Fino a nuove elezioni.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(28 agosto 2014)