Israele – Il ritorno del cinema yiddish
“La première a Venezia del film di Amos Gitai, Tsili, segna il rientro in grande stile del cinema israeliano. La fine dell’estate inaugura un nuovo inizio; l’inizio del mese ebraico di Elul coincide infatti anche con il consueto fiorire di festival e di eventi culturali. E lo stesso Tsili porta a una rinascita inaspettata: il ritorno del glorioso cinema in lingua yiddish”. Così Guido Vitale, coordinatore dei dipartimenti di Informazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche, sull’ultima edizione di Pagine Ebraiche International, il notiziario settimanale della redazione UCEI.
Tsili, tratto dal romanzo di Aharon Appelfeld, Paesaggio con bambina (ed. Guanda), è la storia di una giovane donna che per sfuggire alle deportazioni si nasconde nei boschi di Czernovicz, incominciando la sua lotta per la sopravvivenza. Nel rifugio a cielo aperto avviene l’incontro con Marek, il fuggitivo con il quale inizierà a comunicare in yiddish. Dopo i primi quindici minuti di silenzio, il film è interamente girato in questa lingua, un particolare non trascurabile se si pensa al fatto che ciò non avveniva da più di mezzo secolo. La dichiarazione d’amore e il concreto tentativo di salvare una lingua preziosa, mai stata così in pericolo come in questo momento.
La natura diventa la nuova casa di Tsili; accudisce e protegge la ragazza dalla brutalità del mondo fuori dal bosco. “Quando ho scritto la trasposizione di Tsili -racconta Gitai nel commento riportato sul sito della Biennale- ero interessato alle possibilità dell’ingenuità nell’arte. Può esistere un’arte moderna ingenua? Mi sembra che, senza l’ingenuità che troviamo ancora nei vecchi, nei bambini e in qualche misura anche in noi stessi, l’opera d’arte presenti dei difetti. Così, ho cercato di correggere questi difetti”. Tsili è l’incarnazione di questa ingenuità perseguita e perseguitata, l’incarnazione di una purezza macchiata dalla furia dell’odio. La protagonista comunica a stento e allo stesso tempo si evolve tanto da sdoppiarsi grazie alla maestria delle attrici Sara Adler e Lea Koenig.
Presentato ieri fuori concorso alla Biennale di Venezia, il lungometraggio girato in Romania, ha suscitato commenti sulle maggiori testate: il Corriere della Sera lo definisce come il film probabilmente “più poetico ed evocativo di Gitai”, mentre la Repubblica lo esalta per: “le immagini belle e crudeli, dialoghi scarni, una colonna sonora minacciosa di spari ed esplosioni”. Il Fatto Quotidiano lo vede come “un mirabile esempio di cinema ibrido, intertestualità cara a Gitai ove visioni, colonna musicale mai accessoria, voci fuori testo, scene teatrali e immagini d’archivio trovano una coerenza interna di rara intensità”. Il regista israeliano ha inoltre protetto la sua opera da polemiche politiche legate al proprio paese d’origine e al delicato tema trattato:”Questo mio film non strumentalizza la Shoah ma la racconta”.
L’opera di Gitai ha ricevuto critiche entusiastiche anche dai frequentatori di Twitter: cinguettii che lo definiscono uno dei film migliore di questa edizione del Festival. Dal proprio profilo, l’attore Adam Tsekhman, uno degli interpreti (già visto in alcune serie tv americane di successo come The Mentalist e How I met your mother), si proclama entusiasta del grande successo e l’immenso onore ricevuto in Laguna. Sembra che Venezia sia diventata il salvifico bosco di Amos Gitai.
(2 settembre 2014)