J-Ciak – Com’è verde il principe di Hamas
Lo chiamavano “il Principe verde”. E di fatto Mosab Hassan Yousef, fin da bambino si preparava a raccogliere l’eredità terroristica del padre Sheikh, fondatore e leader di Hamas nel West Bank. Ma a 17 anni svolta e diventa per un decennio uno dei più preziosi collaboratori dello Shin Bet, il servizio segreto israeliano. A raccontare la sua storia, in una lunga avvincente e a tratti dolorosa intervista agli stessi protagonisti, è “The Green Prince” di Nadav Schirman, documentario tratto dall’autobiografia dello stesso Mosab (“Figlio di Hamas”, edito in Italia da Gremese), vincitore a gennaio del Sundance Audience Award che domani sbarca nelle sale statunitense.
C’è un nucleo oscuro, nel mondo di spie e terroristi, che i film di 007 nemmeno sfiorano e riguarda le loro relazioni umane. Come vivono le loro mogli? Come si sentono i figli? O, tornando a Mosab, qual è il rapporto con il padre e con gli agenti reclutatori? È questo il nodo che da tempo appassiona il regista israeliano. Al punto da dedicarvi, a partire dal 2007, una trilogia partita con “The Champagne Spy”, storia dell’israeliano Ze’ev Gur Arie che con il nome di Wolfgang Lotz lavora come spia nell’Egitto di Nasser, dove conduce una vita sontuosa con tanto di moglie. Salvo tornare periodicamente a Parigi dove ritrova la moglie e il figlio (fonte di Schirman per il film). A seguire, “In the Darkroom”, che ha come protagonista Magdalena Kopp, moglie di Carlos, uno dei terroristi più famosi del mondo, e madre di sua figlia.
In “The Green Prince” (95’, Germania-Israele-Gran Bretagna) il regista israeliano continua su questa traccia per esplorare l’animo di Mosab che, in carcere, sceglie di collaborare con Israele. Il ragazzo sa che è la “cosa più vergognosa che si può fare nel mio paese”. È spaventato (“ero un bersaglio, potevo essere ucciso ogni giorno”), spesso confuso (“nessuno sa cosa stai facendo e inizi a perdere il senso della realtà”). Ma compie la sua scelta di campo disgustato dalla brutalità e dalla violenza usata da Hamas nelle carceri come a Gaza o nel West Bank. “I sostenitori di Hamas – dice – non si curano della vita dei palestinesi, degli israeliani o degli americani ma solo di se stessi e della loro ideologia”.
Con ancora maggiore evidenza nel documentario, che all’intervista in presa diretta girata in nove giorni alterna spezzoni d’epoca, emerge il rapporto tra Mosab e Gonen Ben Itzhaq, l’agente reclutatore dello Shin Bet. “Tra Mosab e Gonen – spiega il regista – si crea un profondo rapporto di fiducia e amicizia. E che ciò possa accadere fra due uomini che erano il peggiore nemico uno dell’altro e i cui stessi padri erano stati nemici (il padre di Gonen era stato uno dei personaggi chiavi nella lotta ad Hamas ndr) mi ha comunicato un profondo senso di speranza”.
Ci si può forse chiedere quanto sia autentica quest’amicizia ma Gonen lo spiega con un sorriso: “il primo giorno che ho gestito Mosab ha segnato la fine della mia carriera”. Quando Mosab, ormai uscito allo scoperto ed emigrato negli Stati Uniti, rischia di essere espulso perché sospettato di terrorismo Gonen non esiterà a bruciare la sua stessa copertura testimoniando pubblicamente quale ruolo importante il “principe verde” abbia avuto per dieci anni nella lotta ad Hamas.
“The Green Prince” si avvia ora a divenire un film. La trama, come si vede, è degna di un thriller e capace di inchiodare il pubblico. Speriamo che a salutarne l’uscita siano tempi migliori.
Daniela Gross
(18 settembre 2014)