Si parla di noi
Su queste colonne si è già parlato abbondantemente del film “Ghett” di Ronit Elkabetz, in questi giorni nelle sale italiane con il titolo “Viviane”, quindi non tornerò sul film (che peraltro mi è piaciuto molto). Non parlerò neppure della condizione delle donne israeliane il cui marito rifiuta di concedere loro il divorzio perché anche questo è un tema di cui si è già parlato in abbondanza. Resisterò anche alla tentazione di domandarmi (come ho fatto per tutta la durata del film) se alla protagonista paradossalmente non sarebbe convenuto tradire il marito o, per lo meno, far credere di averlo tradito, perché in tal caso lui sarebbe stato costretto inevitabilmente a concederle il divorzio (se così fosse sarebbe terribile un sistema che di fatto incoraggia l’adulterio).
Mi soffermerò invece su una frase del film, abbastanza marginale rispetto alla vicenda principale: “In quale sinagoga non ci sono persone che non si parlano da anni?” Questo suona decisamente familiare. Tutto il mondo ebraico è paese? Mal comune mezzo gaudio? O dovrei sentirmi particolarmente fortunata a vivere in una comunità in cui le persone raramente sono giunte a non parlarsi del tutto ma il più delle volte si sono limitate a salutarsi freddamente? Resta il fatto che la menzione delle liti (e forse in parte anche la ragione delle liti stesse: divergenze sul rito e sul modo di cantare) mi ha ricordato che quella vicenda tra israeliani di origine marocchina non è una storia lontana di gente esotica che non ci riguarda: si parla proprio di noi.
Anna Segre, insegnante
(5 dicembre 2014)