Israele – Vertice Netanyahu- Kerry Per il negoziato, contro i diktat
“Non accetteremo diktat dall’Onu”. Questa mattina, prima di partire per Roma per incontrare il segretario di Stato Usa John Kerry e il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva chiarito in modo inequivocabile la sua posizione, rispondendo indirettamente all’iniziativa palestinese. Da Ramallah, infatti, era arrivata in serata la notizia che l’Autorità nazionale palestinese presenterà mercoledì prossimo all’Onu una risoluzione in cui chiede il ritiro di Israele dalla Cisgiordania e da Gerusalemme Est (si vuole il ritorno ai confini del 1967) entro novembre 2016 e il riconoscimento dello Stato di Palestina. “Non accetteremo tentativi di imporci gesti unilaterali su una base temporale limitata”, l’avvertimento di Netanyahu ai palestinesi e alla Comunità internazionale, “in una realtà in cui il terrorismo islamico riesce a raggiungere qualsiasi angolo del pianeta, respingeremo qualsiasi tentativo di piazzare quel terrorismo dentro casa nostra”. In queste ore Netnayahu è impegnato in un faccia a faccia con Kerry (nell’immagine l’incontro di lunedì), a cui ribadirà la richiesta
israeliana alla Casa Bianca di apporre il veto sulla risoluzione palestinese (presentata al Consiglio di Sicurezza grazie alla Giordania, membro temporaneo del direttivo) perché per arrivare alla pace esiste una sola via, il negoziato. Sembra che Kerry voglia fare da pacere ed evitare lo scontro diplomatico alle Nazioni Unite, così, dopo aver sentito Netanyahu, volerà domani a Londra per vedere Saeb Erekat, capo negoziatore palestinese. La richiesta del primo ministro di Gerusalemme è chiara: veto sulla risoluzione perché non è cercando di mettere con le spalle al muro Israele che si raggiunge la pace e non si può riconoscere lo Stato di Palestina senza avere delle garanzie in cambio. Ma la Casa Bianca temporeggia e fa sapere che non ha ancora deciso nel merito.
Intanto diversi parlamenti europei – Gran Bretagna, Francia, Spagna – hanno approvato mozioni per convincere i propri governi a riconoscere unilateralmente lo Stato di Palestina. Fino ad ora l’unico paese europeo a spingersi fino a un riconoscimento formale dello Stato palestinese è stata la Svezia ma l’Irlanda potrebbe seguirne l’esempio. Giovedì scorso la camera bassa di Dublino ha approvato una mozione non vincolante che chiede all’esecutivo il riconoscimento e dal governo fanno sapere che l’opzione è sul tavolo. Se può essere utile a risolvere la situazione, lo faremo, il concetto espresso dal ministro degli Esteri Charlie Flagan. Con buona pace di Israele che ha ribadito la sua posizione: ogni azione unilaterale è inutile, dannosa e di ostacolo alla pace. Solo il negoziato tra le parti può garantire un risultato efficace. Rimanendo in Irlanda, passo indietro della
Holocaust Education Trust Ireland (HETI), organizzazione no profit impegnata nell’insegnamento della Shoah, che aveva chiesto di non menzionare “Israele o lo Stato ebraico in nessun momento della cerimonia”, in riferimento alle celebrazioni di gennaio in memoria della Shoah. “L’idea di evitare di citare lo Stato di Israele in una cerimonia che commemora le vittime della Shoah è oltraggiosa – la presa di posizione del memoriale dello Yad Vashem di Gerusalemme – e siamo contenti di sapere che HETI ha comunicato che l’ambasciatore di Israele parlerà all’evento”. Il primo a ricevere l’ordine di censura su Israele era stato Yanky Fachler, da dodici anni tra gli oratori della celebrazione ufficiale del Giorno della Memoria in Irlanda. Protestando e chiedendo spiegazioni per una decisione “sbagliata e molto pericolosa”, Fachler si è visto recapitare una seconda lettera del presidente dell’HETI in cui il presidente Peter Cassells lo informava di essere stato rimosso dal suo ruolo di oratore. Dopo dodici anni. A intervenire anche l’ex ministro della Giustizia Alan Shatter, firmando una lettera di fuoco con destinatario Cassels e in cui definiva sia la censura sia la rimozione di Fachler come provvedimenti “assolutamente inaccettabili”. “I membri del consiglio dell’HETI sono stati influenzati nell’affrontare la questione dall’ostilità contro Israele di alcune parti dell’opinione pubblica irlandese e del movimento Bds (Boycott, Divestment and Sanctions)”.
“Come patria nazionale del popolo ebraico, dove centinaia di migliaia di sopravvissuti alla Shoah sono emigrati, contribuendo in modo straordinario alla costruzione della loro nuova nazione, e come paese in cui vivono una moltitudine di bambini e nipoti dei sopravvissuti, Israele costituisce parte integrante della storia dopo la Shoah. Cercare di politicizzare le commemorazioni della Shoah – il monito dello Yad Vashem – costituisce un grave danno sia alle vittime sia all’educazione della Shoah stessa”.
Daniel Reichel
(15 dicembre 2014)