Israele – A nord, calma apparente

funerali kalangelMigliaia di persone hanno partecipato questa mattina a Gerusalemme al funerale del maggiore Yochai Kalengel, una delle due vittime dell’attacco di giovedì mattina compiuto da Hezbollah contro un convoglio militare israeliano nella zona di Har Dov, lungo il confine con il Libano. Kalengel, venticinquenne comandante di compagnia della Brigata Golani, è rimasto vittima assieme al sergente Dor Nini, vent’anni, del lancio di alcuni missili anticarro che hanno colpito il veicolo non corazzato su cui stavano viaggiando. Sei in totale i colpi esplosi da Hezbollah contro il convoglio militare israeliano, composto da due Jeep e tre furgoni non corazzati. Sei colpi che hanno ucciso i due giovani soldati e ne hanno feriti altri sette. A poche ore dall’attacco, il movimento terroristico di Hezbollah, dopo aver rivendicato l’azione, ha inviato un messaggio a Israele: non vogliamo un escalation di violenza. A confermarlo questa mattina, il ministro della Difesa di Israele Moshe Yaalon in un’intervista rilasciata alla radio israeliana. “Non posso dire che oramai gli eventi sono alle nostre spalle”, ha dichiarato Yaalon, sottolineando che “fino a che l’area non sarà completamente calma, l’esercito israeliano rimarrà pronto e preparato”. Secondo gli analisti israeliani l’attacco di ieri costituisce una vendetta per il raid aereo compiuto la scorsa settimana da Israele sul Golan siriano, in cui sono morti diversi miliziani di Hezbollah – tra cui Jihad Mughniyeh, a cui era stato affidato il controllo dell’area – e un generale iraniano. E ci sarebbe proprio la mano iraniana, secondo il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu, dietro all’uccisione dei due soldati di Tsahal nel nord del paese. “C’è l’Iran dietro gli attacchi di ieri dal Libano – ha affermato questa mattina il premier a una cerimonia in memoria di Ariel Sharon, l’ex primo ministro scomparso un anno fa – Questo è lo stesso Iran che sta cercando di ottenere un accordo con le potenze mondiali che gli concederà la possibilità di continuare a sviluppare le armi nucleari, un accordo a cui noi ci opponiamo fortemente”. “Continueremo a difenderci contro ogni minaccia vicina o lontana – ha continuato Netanyahu – Arik (Sharon) aveva capito molto bene l’indole del regime iraniano, e quanto disse allora vale ancora oggi”. “Israele ha molte speranze e si confronta con molti pericoli. – aveva dichiarato Sharon in un discorso tenuto alla Knesset il 25 ottobre 2004 – La minaccia più grande è l’Iran, che sta facendo tutto il possibile per acquisire armi nucleari e missili balistici, e costruire una gigantesca rete del terrore insieme alla Siria e al Libano”.
A poco più di dieci anni dalle parole di Sharon quel triangolo continua a preoccupare Israele ma diverse cose sono cambiate, con la Siria prima saldamente in mano al dittatore Assad e oggi dilaniata da una guerra civile. È cambiato, come sottolinea nella sua analisi su Yedioth Ahronot Ron Ben-Yishai, il rapporto tra Stati Uniti e Iran, e tra Stati Uniti e Israele. Teheran non ha commentato l’attacco di ieri e potrebbe voler compiere un’altra azione per vendicare la morte del suo generale, sottolinea Ben-Yishai. D’altra parte il regime iraniano è impegnato nelle trattative con la Casa Bianca e i paesi europei sul nucleare, il che potrebbe fermare – almeno per il momento – il suo desiderio di vendetta nei confronti di Israele, continua l’analista. Non solo, in caso Israele decidesse di rispondere in modo massiccio all’uccisione dei suoi due soldati, dando il via a nuovo conflitto con il Libano, Teheran potrebbe provare a guadagnarsi l’opinione pubblica internazionale, dirigendola contro Gerusalemme. Con il rapporto tra il presidente Barack Obama e il premier Netanyahu ai ferri corti, la tattica iraniana avrebbe un’ulteriore sponda. In ogni caso si tratta di condizionali, e Ben-Yishai così come Amos Harel tendono a escludere la possibilità che Israele entri in nuovo conflitto con il Libano. A metà marzo ci sono le elezioni e iniziare una guerra oggi, difficilmente giustificabile agli occhi di buona parte dell’elettorato e soprattutto degli alleati occidentali, è un passo che il governo di Gerusalemme non sembra voler fare.

Daniel Reichel

(29 gennaio 2015)