Oltremare – Centimetri

fubiniQuesto è di gran lunga l’inverno più piovoso e freddo che ho passato, nei miei ormai sette anni israeliani. Soprattutto, il tempo tende ad essere pessimo nel weekend e bello durante la settimana, e dire che con tutte le magagne locali uno penserebbe che almeno la legge di Murphy potrebbe esserci risparmiata. Urge tener su il morale, anche in vista di elezioni faticose. E c’è una cosa cui ci appigliamo come all’ultima scialuppa di salvataggio del Titanic, ogni inverno bagnato o secco che ci sia: l’altezza delle acque del Kinneret (il Lago di Tiberiade).
Ogni giorno, ad ogni ora tonda, il giornale radio scocca i centimetri guadagnati nelle ultime piogge, e quando nevica sul monte Hermon è festa grande non solo per gli sciatori: tutta quella neve presto, ma davvero, molto presto, si scioglierà e porterà centimetri nuovi di zecca al nostro beneamato Kinneret. Il quale sta lì, placido che neanche il Piave, e poco più largo, in effetti.
L’ossessione nazionale per l’aumento dell’unico bacino d’acqua dolce del paese si rintraccia nelle chiacchiere da fermata di autobus “Ah, ma questi del Daesh sono degli assassini spietati!” “Beh, consoliamoci che il Kinneret è salito di sette centimetri”. Un classico. Kinneret consolatore negli inverni piovosi, oppure fonte di immensa angoscia alla fine di estati torride, quando di acqua dal cielo non ne arriverà almeno fino a ottobre o novembre.
A dirla tutta, ne ha di strada da fare, per renderci davvero sereni quanto a risorse idriche. Passa il tempo fra due linee rosse, quella di sopra e quella di sotto, che essendo linee rosse non dicono nulla di buono. Ma il legame personale, quasi fisico, di ogni israeliano con il Kinneret è una delle definizioni di questo paese. Un luogo in cui allo stesso tempo si fanno furori al Nasdaq con l’ultima exit tecnologica miliardaria, e ci si preoccupa del centimetro in più o in meno d’acqua che porterà su o giù la produzione dei pomodori e l’umore della nazione.

Daniela Fubini

(16 febbraio 2015)