Lo studio delle donne

vantaggiatoUna visita tanto inattesa quanto gradita quella di rav Shlomo Amar, domenica mattina, presso la sede del Collegio rabbinico italiano. E piacevolmente inaspettato – peraltro in una classe di Talmud che negli anni ha visto crescere costantemente la presenza femminile – anche il tema scelto per la sua lezione. In base a quale criteri, si chiede rav Amar, rabbino capo di Gerusalemme e già rabbino capo sefardita di Israele, le donne – che sono esonerate dallo studio obbligatorio della Torà perché è scritto “e insegnerete ai vostri figli” – sono altresì tenute a recitare, esattamente come gli uomini, le Birkot haTorà, le benedizioni per lo studio della Torà, durante le preghiere mattutine?
È rav Joseph Caro, l’autore dello Shulchan Arukh, a fornire una risposta: non solo a quella berakhà seguono la lettura di brani biblici, come i Salmi e la Cantica del Mare, ma a ciò va aggiunto l’obbligo, che di fatto ricade anche sulle donne, di studiare quei brani della Torà nei quali vengono esposte le norme che regolano lo Shabbat e l’accensione dei lumi, la niddà e il prelievo della challà. Pronta l’obiezione del Gaon di Vilna: questo tipo di studio è strumentale, finalizzato alla messa in pratica di un numero limitato di precetti. Mentre la berakhà (benedizione) che si dice la mattina riguarda proprio lo studio della Torà “per se stessa”. La composizione mista della classe domenicale di rav Riccardo Di Segni, da circa due anni alle prese con le peripezie della povera Sotà, le cui regole non hanno più rilevanza attuale, è una riprova che le donne studiano per il piacere e il dovere di studiare.
Resta il fatto, rassicura rav Amar, che le donne – laddove lo desiderino – sono autorizzate a mettere in pratica anche quei precetti legati a un tempo specifico e dai quali sarebbero esonerate: le donne possono infatti prendere in mano il Lulav e possono ascoltare lo Shofàr. Così come possono – e in taluni casi addirittura devono – studiare Torà nonostante l’interpretazione midrashica che precisa: “figli e non figlie”. Certo resta il problema della berakhà. Berakhà sì come vorrebbero Ramà (rav Moshè Isserles) e Rabbenu Tam, maestri di area ashkenazita, o berakhà no come sostiene rav Joseph Caro che fa propria la posizione di Rambam (Maimonide), entrambi sefarditi? Non è questa la sede per addentrarci nelle discussioni che vedono contrapposti i rabbini. Piuttosto vale la pena spostarci su un altro terreno, forse meno strettamente halakhico ma più prossimo a una sensibilità condivisa da tutti, uomini e donne. Lo facciamo con le parole di rav Amar: “Lo studio della Torà ci dà la vita in questo mondo e ci permette di entrare nel mondo futuro. La luce della Torà si estende al di là di ciò che uno studia perché si trasmette alle generazioni future. Compito della donna, oltre che studiare, è quello di educare figli e figlie. E magari anche quello di spronare allo studio i mariti”. Questa è la via che ci permette di meritare la rugiada e, con la rugiada, l’accesso al mondo futuro.

Iaia Vantaggiato, Corso di Bagrut e Corso di Laurea in Studi Ebraici del Collegio rabbinico italiano

(18 febbraio 2015)