Marchio casher per la marijuana Le opinioni dei rabbini italiani
La marijuana utilizzata per fini curativi potrebbe ricevere il marchio casher dell’Orthodox Union’s kosher certification agency di New York, l’organo della rabbanut che controlla e stabilisce quali prodotti siano concessi secondo la legge ebraica.
Mentre la notizia diventa virale negli Stati Uniti (il New York Post ironizza scrivendo “The pot concoctions would give new meaning to the ‘high holidays'”, l’erba darà nuovo significato alle feste comandate, giocando sulla parola ‘high’, intesa in slang come qualcuno che si è ‘fatto’), tra la rabbanut italiana si apre un dibattito, che coinvolge inevitabilmente non solo le regole della casherut, ma anche le implicazioni etiche.
A dare la sua opinione il rabbino capo di Roma, medico nonché vice presidente del Comitato nazionale di bioetica, Riccardo Di Segni: “Sul piano scientifico, se usato nei limiti del farmaco, l’utilizzo della marijuana è consentito, sul piano voluttuario è invece tutto da discutere. Di certo qualunque cosa dia dipendenza è da escludere. Anni fa il tabagismo era largamente tollerato, ora non più. Sul vino l’ebraismo ci fornisce delle regole ben precise che ne indicano l’uso moderato: se 3000 anni fa fossero esistite sigarette o droghe leggere avremmo molto probabilmente un codice d’uso anche su queste. Per quanto riguarda la marijuana, infine, bisogna considerare che essa porta dietro di sé una cultura, è un simbolo. Un simbolo che poco si sposa con i valori dell’ebraismo”.
Entra poi nello specifico il coordinatore del Collegio Rabbinico italiano e biologo del Cnr rav Gianfranco Di Segni: “Se consideriamo l’assunzione di marijuana per fini terapeutici, la bioetica risponde positivamente. Per l’ebraismo è permesso infatti prendere medicine che allevino la sofferenza, il dolore è considerato alla stregua di una malattia e quindi deve essere curato. Sono permesse, in casi estremi, le terapie anti-dolore anche quando esse possono direttamente o indirettamente accorciare la vita del paziente (come nel caso della morfina). In materia di casherut, l’assunzione della droga leggera in quanto farmaco per endovena non pone problemi. Diverso è il caso se la medicina viene ingerita per via orale e se ne sente il sapore. In questo caso c’è la necessità di una certificazione della rabbanut. Se il sapore non si percepisce e non ci sono prodotti alternativi certificati, si può essere facilitanti”. Conclude poi: “Quando parliamo di marijuana fumata per puro diletto invece la risposta è negativa. Per l’ebraismo è assolutamente vietato fare azioni che potrebbero compromettere la salute e questo vale anche per sigarette e alcolici. In definitiva a guidare la scelta è il benessere inteso come rispetto per il proprio corpo”.
L’iniziativa sarebbe partita dalla richiesta di una azienda del Colorado (uno dei tanti paesi Usa in cui la marijuana è legale) che vorrebbe il marchio sul suo prodotto per rispondere alle esigenze di pazienti ebrei che ne fanno uso.
“La marijuana di per sé, essendo una pianta, non ha bisogno di alcuna certificazione, è quando si somministra sotto forma di farmaco commestibile che ha bisogno di un controllo” spiega Moshe Elefant della Orthodox Union. Si è però ancora in attesa delle dichiarazione delle due istituzioni più autorevoli: il Rabbinical Council of America, il Consiglio che comprende più di 1000 rabbini statunitensi modern orthodox e affiliata all’Orthodox Union e il Consiglio dei saggi della Torah, organo della Agudath Israel of America, organizzazione ombrello della tradizione dell’ebraismo lituano e tedesco e voce importante in materia di certificazioni.
David Bleich, che insegna etica medica alla Yeshiva University di New York, invece interviene, dichiarando che la marijuana curativa è perfettamente accettabile “come lo è qualsiasi pianta che cresce nel giardino del Signore”. “Certo è – continua poi – che non si può dire lo stesso di chi ne fa uso per alterare il proprio stato o umore, però non posso nemmeno inventarmi che esiste la mitzvah numero 614 (le mitzvoth, le buone azioni sono in totale 613) nella quale viene detto che non bisogna farsi le canne”.
Interessante infine notare come la ricerca nel campo della marijuana curativa sia una eccellenza tutta israeliana (anche se la vendita nel paese senza certificato medico è comunque illegale): si stima infatti che Israele abbia consegnato ai pazienti più di 11000 licenze che ne autorizzano l’uso e continua ad esplorarne le potenzialità (proprio sull’argomento si è tenuto un grande evento lo scorso 5 febbraio, il Canna Tech Israel). Due anni fa la ricerca made in Israel ha inoltre avuto l’appoggio del rabbino di Mazkeret Batya (vicino a Rehovot) Efraim Zalmanovich che pubblicamente ha spiegato come alleviare il dolore di chi soffre sia di certo una mitzvah ma deprecandone l’uso per fini diversi.
La certificazione casher richiederà circa un anno e, conclude Elefant: “Per l’Orthodox Union questa è una sfida davvero affascinante”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(25 febbraio 2015)