…Israele
Fra cinque giorni si vota in Israele e gli elettori sono esausti per le troppe elezioni. Per due volte in due anni il primo ministro Benjamin Netanyahu non è riuscito a far passare il Bilancio dello stato, e con lo scioglimento anticipato del parlamento ha gettato il paese nel caos. In Israele si alternano ormai un anno necessario allo scioglimento della Knesset e del governo, alle elezioni, alle consultazioni presidenziali, e alla ricostituzione di un governo, e un altro anno durante il quale si cerca di governare già con un occhio al prossimo scioglimento e alle prossime elezioni. La conseguenza principale è che da diversi anni in Israele non esiste un vero e proprio governo, e per circa la metà del tempo – in assenza di potere legislativo e esecutivo – abbiamo un singolo conduttore che governa il paese da solo a piacimento assecondato dalla sua corte.
La preoccupante mancanza di governabilità in Israele, che ricorda da vicino quella della prima repubblica italiana, è ritenuta da molti una conseguenza inevitabile della multiforme stratificazione demografica del Paese. Questa crea risultati elettorali prevedibili ma incontrollabili. Ma esiste anche un altro fattore importante che invece può essere controllato, ed è il metodo elettorale anacronistico che gli israeliani continuano con estremo masochismo a infliggere a se stessi. Israele è l’unica democrazia al mondo in cui gli elettori votano con il metodo proporzionale puro, con una modesta soglia di ammissione del 3,25%, con un collegio unico nazionale, con liste bloccate predeterminate, senza la possibilità di esprimere preferenze da parte degli elettori. L’ordine dei candidati nelle varie liste è determinato in alcuni partiti attraverso elezioni primarie interne facilmente manipolabili, e in altri partiti da parte di una manciata di persone o da un singolo capopartito.
L’attuale legge elettorale favorisce la massima frammentazione dei partiti (sempre entro i limiti della soglia minima) e crea una Knesset che rappresenta l’affascinante sociologia israeliana ma è totalmente incapace di gestire gli affari del paese. Il metodo esistente crea anche distorsioni insopportabili in termini di rappresentanza regionale degli abitanti del paese. Per esempio nella Knesset uscente vi sono 10 deputati residenti in Giudea e Samaria (8,3% di tutti i deputati) mentre la popolazione della Giudea e Samaria non supera il 4,4% della popolazione nazionale, e anzi la percentuale di elettori della regione è ancora più bassa data la composizione per età più giovane dei suoi abitanti. D’altra parte, nella regione meridionale, da Ashkelon fino a Eilat, vive il 14,4% della popolazione israeliana, ma la rappresentanza parlamentare nella Knesset uscente non supera i 3-4 deputati. E si possono dare molti altri esempi del significativo squilibrio esistente tra la distribuzione geografica degli elettori e quella dei membri della Knesset.
L’attuale sistema elettorale crea così due gravi disfunzioni alla democrazia israeliana: la mancanza di governabilità e la mancanza di rappresentatività. Queste distorsioni hanno pesanti conseguenze nella definizione e nella gestione degli interessi nazionali.
Anche se non esiste metodo elettorale in grado di risolvere da solo tutti i problemi, in una società complessa come quella israeliana una soluzione parziale esiste, ed è il passaggio a elezioni secondo distretti elettorali. Questo comporta la divisione del paese in 120 distretti, tanti quanti sono i deputati alla Knesset, e l’elezione di un deputato in ogni distretto. I distretti potrebbero essere stabiliti dalla Commissione elettorale centrale, sotto il controllo vigile della Corte Suprema, sulla base di areee che comprendano la superficie contigua minima necessaria per raggiungere la quota dovuta di elettori – ossia un centoventesimo delle persone iscritte nelle liste elettorali. È possibile adottare un sistema a un turno, come negli Stati Uniti e nel Regno Unito, o nel nostro caso meglio a due turni, come in Francia.
Così, e non altrimenti, verrà garantita una rappresentanza parlamentare adeguata ai cittadini di Israele, e sarà ridotto drasticamente il numero, oggi eccessivo, dei partiti in grado di eleggere deputati della Knesset. In ogni distretto elettorale si dovranno infatti creare coalizioni tra i partiti per concordare un candidato proprio o politicamente prossimo che abbia la possibilità di vincere. Nella situazione della politica israeliana, invece dei 12 attuali partiti ne rimarranno probabilmente quattro – uno di centrodestra/ destra, uno di centrosinistra/ sinistra, uno sostenuto da elettori in prevalenza molto religiosi, e uno da elettori in prevalenza arabi. Alle elezioni ci saranno vincitori e vinti, e non solo vincitori come succede ora. Almeno i cittadini sapranno chi ha vinto e avranno un governo di legislatura.
Il voto secondo collegi elettorali creerà anche appassionanti sfide locali. Ad esempio, nel distretto Giudea-Sud il signor Baruch Marzel di Kiryat Arba (candidato di Yahad) si misurerà con la signora Orit Struck di Hebron (candidata di Bayt Yehudi), e dunque con il nuovo sistema uno solo dei due potrà essere eletto mentre con il sistema attuale entrambi lo saranno creando un’ingiusta sovra-rappresentazione di un settore estremamente minoritario del pubblico. Nel distretto Hadera-costa, il signor Benjamin Netanyahu di Cesarea potrà confrontarsi con il signor Moshe Kahlon di Givat Olga – due capi di partito domiciliati in due villaggi a dieci km di distanza l’uno dall’altro. E così via, a Nazaret, a Bné Berak, a Gerusalemme, a Tel Aviv e a Giaffa, verrà eletto il migliore fra i rappresentanti autentici del distretto elettorale – si tratti di un borghese cittadino o di un agricoltore, di un haredi o di un musulmano. E grandi settori della popolazione civile oggi privi di voce in parlamento, finalmente avranno la loro rappresentanza.
Se non sarà cosí, e se i sondaggi pre-elettorali sono accurati, prepariamoci a nuove elezioni entro due anni.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
(12 marzo 2015)