Chi decide

lucreziCommentare le reazioni suscitate dall’esito delle elezioni israeliane è davvero un compito triste e deprimente, tanto i giornali di tutto il mondo paiono grondare di giudizi duri e sprezzanti, quando non di veri e propri insulti, contro non tanto i vincitori della competizione elettorale, quanto gli elettori, che, con la loro infausta scelta, avrebbero confermato la cieca deriva razzista, aggressiva e militarista presa, al di là del benché minimo dubbio, dal popolo d’Israele, che avrebbe protervamente deciso di legare il proprio destino al peggiore leader in assoluto che si potesse immaginare, la cui folle conferma non avrebbe altro significato, a quanto pare, che quello di una catastrofe annunciata. Una scelta, secondo un concetto ricorrente in molti di questi commenti, dettata unicamente dalla paura, dalla totale diffidenza verso ogni ipotesi di apertura sul piano negoziale, anzi dalla negazione di principio della stessa ipotesi di una soluzione pacifica al conflitto. Ma soprattutto una scelta indiscutibilmente autolesionista, le cui conseguenze drammatiche non potranno tardare a farsi vedere, e la cui responsabilità ricadrà interamente sulle spalle del popolo sadico e masochista.

Di fronte a questo coro demolitore – che, ripeto, non colpisce questo o quel politico, questo o quel partito, ma gli elettori, i cittadini d’Israele – nasce un potente istinto, in chi non sia d’accordo, a dire l’esatto contrario, a ribadire con forza che Netanyahu è il miglior premier d’Israele che si possa immaginare, l’unico che porterà sicurezza, pace e prosperità, mentre i sui antagonisti sono solo delle anime belle, inseguitrici di vane e pericolose illusioni. È un istinto, lo confesso, che nasce anche in me. Ma lo reprimo subito, ben consapevole del fatto che a essere in gioco non ci sia certo l’apprezzamento per l’operato del premier uscente, ma qualcosa di molto più importante e profondo, ossia il rispetto per il popolo israeliano e la sua democrazia. Un popolo e una democrazia che sono colpiti e vilipesi non solo dai tanti che vorrebbero cancellarli dalla faccia della terra, ma anche dai tanti altri che non sanno avere verso Israele altro atteggiamento al di fuori di quello dell’accusa, dell’invettiva, dell’irrisione; nessuna espressione al di fuori di una smorfia di disprezzo, nessun gesto al di fuori di un dito puntato. Discolpati, Israele, prova a farlo, se ci riesci. Hai sbagliato di nuovo, per l’ennesima volta nella storia, l’evidenza del tuo errore è sotto gli occhi di tutti.

Il premier d’Israele, chiunque sia, deve innanzitutto fare da bersaglio al livore di chi, a prescindere da qualsiasi valutazione politica, non digerisce il fatto che lo stato ebraico sia retto dalla legge e dal diritto, sia governato da salde istituzioni democratiche, e sia abitato da cittadini liberi e consapevoli, che affidano le funzioni pubbliche a individui – parlamentari, ministri, presidenti, magistrati, soldati – chiamati a svolgerle secondo rigide norme giuridiche, sotto lo stretto, quotidiano controllo delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Tutte cose di cui ai commentatori sembra non importare nulla, e che sembrano anzi dare fastidio.

Due rapide battute riguardo a una parola che, come detto, mi è sembrata tra le più citate riguardo alle motivazioni dell’elettorato d’Israele, che è la parola ‘paura’. Israele ha avuto paura, la sua è stata una scelta di paura. Ammettiamo che sia così: Israele ha paura dei fantasmi? Hamas, Hezbollah, Iran, Isis, Parigi, Al Qaeda, Sderot, Jihad, decapitazioni, roghi, armi nucleari ecc. ecc. sono solo un film dell’orrore, un brutto incubo notturno? Se non bisogna avere paura (mai, proprio mai?), c’è posto almeno per un minimo di prudenza, di preoccupazione, o no? E gli elettori di sinistra, anche quelli di estrema sinistra, non ne avevano proprio niente, di preoccupazione, neanche un pochettino? Si apprestavano tutti a partire in gita turistica per Gaza o Teheran, con la colazione a sacco?

Certo, la paura, o la preoccupazione, si possono gestire in tanti modi diversi. Come deve gestirle il popolo d’Israele?

Per me, la risposta è semplice: lo decide lui. Punto.

Francesco Lucrezi, storico

(25 marzo 2015)