Tra Oriente e Occidente, con gli occhi di Yehoshua
“Nella mia famiglia, io sono la quinta generazione in Israele. La mia biografia è quindi molto diversa da quella tipica dei misrachim, gli ebrei arrivati dai paesi arabi dopo la nascita dello stato. E tuttavia la voce, la cultura, le sfumature sefardite nella miscela che è la società israeliana, sono qualcosa che mi sta molto a cuore”. Vive a Tel Aviv solo da un paio d’anni lo scrittore Abraham B. Yehoshua, dopo 43 anni vissuti a Haifa. Per l’incontro sceglie un centro commerciale, affollato, colorato e pieno di confusione nei giorni di mezza festa di Pesach. Non è esattamente la sua location ideale (“È comodo perché abito qui vicino, e in zona non ci sono bei caffè” ammette), ma il canyòn, come è chiamato in ebraico, rappresenta comunque uno squarcio interessante di quella realtà cui lo scrittore nato nel 1936 a Gerusalemme ha dedicato la vita e il fluire incessante di parole per raccontare Israele come pochi altri. Raccontandosi a Pagine Ebraiche Yehoshua parla di tante cose, dei suoi libri, delle aspirazioni coltivate prima di scoprire la passione per la scrittura e dei libri di altri che hanno contribuito a creare il suo modo di narrare. Prima di tutto però in agenda è il suo imminente viaggio a Roma. Una città che ama particolarmente e dove in questi giorni tiene una serie di conferenze dedicate, tra l’altro, proprio al rapporto tra mondo sefardita e ashkenazita (l’appuntamento è all’Università di Roma Tre nei pomeriggi del 17 e 22 aprile, nell’ambito del Corso di laurea in formazione interculturale della Facoltà di Scienze della Formazione, diretto dal professor David Meghnagi, e per il festival della storia e della cultura enogastronomica Sefarad, in cui sarà protagonista il 19 e 20 aprile).
Yehoshua è considerato uno dei grandi padri della letteratura israeliana, insieme ad autori come Amos Oz, Aharon Appelfeld e David Grossman. La famiglia di Yehoshua però, a differenza di quella degli altri, è di origine sefardita. Anche se, come appunto ci tiene a sottolineare “la nostra storia è molto diversa da quella mizrachi tradizionale”.
Sollecitato sulla questione delle difficoltà in Israele tra la popolazione proveniente dall’Europa orientale e quella dei paesi arabi, lo scrittore si appassiona, ed è severo.
“La verità è che per secoli gli ebrei avrebbero potuto arrivare in Israele, e forse si sarebbe potuto avere uno stato molto prima, ma non lo fecero. Non lo fecero gli ashkenaziti ma non lo fecero nemmeno i sefarditi, cosa che è ancora più inspiegabile considerando che vivevano nello stesso impero ottomano” sottolinea. “Quando poi sono arrivati, dopo la nascita di Israele, eravamo uno stato povero, senza risorse, che durante la guerra di indipendenza aveva perso l’1 per cento della sua popolazione, e che pure assorbiva mille nuovi olim (immigrati) al giorno. Certo fu dura e probabilmente è vero che in un melting pot troppo caldo molti valori e cultura vennero persi, ma lamentarsi è ingiusto, persino immorale. A maggior ragione guardando a quello che accade oggi alle minoranze rimaste in quegli stessi paesi, davvero c’è solo da ringraziare”.
Sulla nuova occasione di tornare nella Capitale per un ciclo di incontri che copriranno temi molto diversi, compreso il conflitto arabo-israeliano e la tragedia della Shoah, Yehoshua si dice entusiasta per il ritorno in città. “Io e mia moglie negli anni Sessanta abbiamo vissuto per un periodo a Parigi, e la consideriamo una seconda casa. Ma Roma, pur non parlando noi la lingua, è da molti anni la città che preferiamo visitare, per turismo o per qualsiasi altra ragione”.
Rossella Tercatin
(16 aprile 2015)