Emergenza Nepal, Israele in prima fila

Nepal israele ospedale da campo “Siamo pronti a tutto. Procediamo pieni di motivazione e con orgoglio”. Il colonnello e medico delle Forze di difesa israeliane Tarif Bader, comandante dell’ospedale da campo in Nepal, rivolge parole decise alla sua squadra in partenza per portare aiuti al paese devastato dal terremoto degli scorsi giorni. Una missione di soccorso dell’esercito israeliano era partita già lunedì mattina, dopo il primo sopralluogo effettuato domenica da una squadra per un’analisi preventiva della situazione.
Cinque grandi aerei inviati in una missione congiunta dal ministero degli Esteri israeliano e dall’IDF hanno quindi raggiunto Kathmandu, portando ognuno 260 persone, oltre che 95 tonnellate di equipaggiamento tra cui un ospedale da campo, comprendente anche un reparto per accogliere bambini prematuri. “Al momento il solo ospedale a funzionare in modo indipendente è il nostro”, ha spiegato Bader. “Dovremo affrontare problemi, dilemmi e sfide, e improvvisare soluzioni”.
Il ministero degli Esteri ha stimato che domenica, al momento del terremoto, ci fossero circa 650 cittadini israeliani in Nepal. Martedì mattina erano già 338 i sopravvissuti tornati in patria su un aereo dell’El Al, tra cui un gruppo di 25 neonati di genitori israeliani nati da madri surrogato nepalesi. Circa duecento sono stati localizzati attualmente nel paese, ancora 50 quelli di cui si sono perse le tracce, anche se continuano a venire individuati piccoli gruppetti di persone. Più o meno 250 israeliani si trovano invece nella capitale Kathmandu, dove hanno trovato riparo nei cortili della Chabad House e dell’ambasciata israeliana, trasformati in campi di accoglienza. Alcuni medici sono arrivati anche lì per prestare soccorso ai feriti: “Ci siamo divisi tra l’ambasciata e la Chabad House e contiamo di stare qui almeno per una settimana”, ha dichiarato il dottor Rafi Strugo, direttore dell’unità medica del Magen David Adom quando è arrivato sul campo. La delegazione del MDA è composta da dottori, paramedici ed esperti di situazioni di emergenza con esperienza già accumulata nelle recenti catastrofi in Giappone, ad Haiti e nelle Filippine. Il Magen David Adom, ha spiegato Strugo, provvederà a fornire primo soccorso ai feriti, dovunque essi si trovino, oltre che alla creazione di una stazione dove potrà offrire trattamento per le prime 48 ore, con antidolorifici, antibiotici o bendaggi, e preparare i feriti gravi per il trasporto in ospedale. Inoltre, nel frattempo aprirà un secondo ospedale da campo per soccorrere la seconda ondata di vittime, ossia quelle che arriveranno in questi giorni successivi alle prime scosse.
Nel frattempo, le famiglie dei dispersi cercano di mettersi in contatto con i loro cari. A Gerusalemme il direttore generale del ministero degli Esteri Nissim Ben-Shitrit ha incontrato alcuni membri di famiglie di escursionisti israeliani in Nepal e li ha rassicurati sul fatto che il governo non lascerà nessuna parte del paese inesplorata per recuperarli. “Stiamo lavorando giorno e notte e mettendo tutte le nostre risorse in questo sforzo, per cui abbiamo speso milioni di shekel”, ha affermato.
Gli israeliani presenti in Nepal sono soprattutto escursionisti, che al momento delle prime scosse si trovavano in gita sulle montagne nepalesi. Vari sistemi sono stati messi a disposizione sia delle famiglie sia dei dispersi. Sono nate molte pagine Facebook per pubblicare foto dei propri cari, in caso qualcuno li avesse individuati. Inoltre il social network, che ha aggiunto sulla home page degli utenti un bottone per fare delle donazioni per l’emergenza, ha creato anche un’applicazione ad hoc, chiamata Safety Check, attraverso la quale è possibile far sapere di essere salvi, fare controlli sulle persone che si trovano nelle aree colpite, e segnalare i propri amici come fuori pericolo. “È in momenti come questo che avere la possibilità di essere in contatto importa davvero” ha dichiarato Mark Zuckerberg. Anche Google ha messo a disposizione una rete per verificare le condizioni delle persone, e ha stilato una lista di circa un centinaio di israeliani. Ma ogni mezzo è valido, e reti per entrare in contatto con amici e familiari in Nepal sorgono su ogni canale di comunicazione. È il caso della storia di Shani, un’escursionista che reso la sua situazione un po’ meno drammatica grazie al fatto di essere in possesso, unica in un grande gruppo di 100 viaggiatori internazionali, di un telefono satellitare, con cui ha potuto mettersi in contatto con sua madre Elsie. La quale, mentre sua figlia attendeva ancora soccorsi, è diventata un contatto prezioso per gli israeliani alla ricerca di dispersi in Nepal, aggiornando le famiglie degli altri escursionisti. Ha anche contattato molte famiglie in tutto il resto del mondo, soprattutto in Spagna, e anche il villaggio nepalese più vicino al luogo in cui si trovava Shani, e il suo numero di telefono è circolato su Facebook e anche alla radio.
“Questo è il vero volto di Israele”, ha osservato il premier Benjamin Netanyahu. “Un paese che offre aiuto in questi momenti a qualunque distanza”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(29 aprile 2015)