“Expo, le favolette non bastano”
Una proiezione circolare, una giovane donna che racconta la storia delle sviluppo agricolo e industriale del suo Paese, la lotta contro la mancanza di acqua, la vittoria suo deserto. È il padiglione di Israele all’Expo.
Una proiezione circolare, una bambina che racconta lo sviluppo agricolo e industriale del suo Paese, la lotta contro la mancanza di acqua, la vittoria sul deserto. È il padiglione degli Emirati Arabi Uniti all’Expo.
Separati dalla politica e dalla religione, uniti dalle condizioni ambientali, dallo sforzo per superare gli stessi ostacoli climatici e ambientali, e questa volta, dalla creatività.
Viene da chiedersi che cosa succederebbe se questi Paesi collaborassero, invece che farsi la guerra, se gli sforzi fossero comuni e le vittorie condivise.
Uno dei messaggi che viene da Expo – per tanti versi deludente nell’organizzazione e nei contenuti – è che siamo tutti sullo stesso treno, che il treno sta andando verso il baratro, e che solo se i Paesi e i loro abitanti si decideranno finalmente a collaborare e a fare sacrifici ci può essere qualche speranza per le generazioni future.
Quanto al padiglione di Israele, mi aspettavo qualcosa di più della favoletta a lieto fine di una famiglia di agricoltori, raccontata da una Barbie bruna. All’avanguardia nel mondo per le sue capacità tecnologiche, per le start up avveniristiche, possibile che il messaggio di Israele si affidi ai cherry tomatoes, e all’irrigazione goccia a goccia, scoperti decine di anni fa, invece che presentare il futuro che si sta creando nei centri di ricerca?
Viviana Kasam
(5 giugno 2015)