inno…

Questa settimana ho avuto l’onore di ascoltare per ben due volte l’inno nazionale italiano: una prima volta presso la residenza del console italiano a Gerusalemme, e una seconda volta presso la residenza dell’ambasciatore italiano a Ramat Gan, Tel Aviv, in occasione dei festeggiamenti per la festa della Repubblica Italiana. La prima volta l’inno di Mameli ha introdotto il discorso del console ed il suo auspicio per la pace, in un contesto dove era palpabile la distanza dal mondo ebraico, dove pannelli culturali parlavano di una Gerusalemme ‘occupata’ e dove era volutamente assente la parola ebreo. La mia ebraica italianità è stata messa a dura prova e la mia storia di ebreo italiano è stata messa all’angolo proprio nella città dove risiedo. A Ramat Gan a cantare l’inno italiano sono stati i nostri figli, italiani di Israele, orgogliosamente guidati dal mondo istituzionale italiano di Israele. Mi sono commosso a pensare che mio figlio cantava l’inno scritto da Goffredo Mameli, un giovane morto a difesa della Repubblica Romana nel 1849 e che un suo antenato, Cesare Gioiello Gallichi, ebreo senese, era anche lui tra le barricate di Roma in quello storico momento. Italia, Israele, libertà e pace mi sono sembrate così vicine, mentre un giovane italki di 10 anni si cimentava a pronunciare bene le parole: “Stringiamci a coorte”. La pace che segue gli inni deve essere una musica consapevole di inclusione storica ed identitaria.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(5 giugno 2015)