Ticketless – Giochi senza frontiere
Per una buffa circostanza della vita, che non è il caso qui di raccontare, martedì scorso sono andato all’Expo. Sono sceso alla stazione di Rho e già questa è stata una sorpresa. Per chi come me ricorda la stazione cadente osservata migliaia di volte transitando sulla linea Torino-Milano vedere da una settimana all’altra nascere dal nulla una specie di terminal aeroporto-base spaziale dà allegria. In un attimo vieni catapultato in quello che oggi si suole definire un non-luogo. Sto attraversando un periodo della vita in cui tengo a smussare ogni contrasto per cercare un posto tranquillo dove accomodarmi. In sintesi mi stanno antipatici sia gli apocalittici che boicottano l’Expo sia gli integralisti che ne parlano come il migliore dei posti possibili. A favorirmi, in questa ricerca di serenità, è il processo di regressione che un luogo come questo causa nel visitatore. Attraversi Expo sotto il peso dei tuoi anni ed è come se il tempo d’improvviso si arrotolasse a ritroso e tu rientrassi, bambino, nella tua camera dei giochi. O meglio. La prima sensazione è di trovarsi dentro una puntata di “Giochi senza frontiera”, trasmissione televisiva che da bambino mi divertiva molto… Il tema di Expo, il cibo, favorisce la regressione. Come se ciò non bastasse al momento del mio ingresso stava avvicinandosi un ciclone simile a quello della scena conclusiva di “A Serious Man” dei fratelli Cohen. La stragrande maggioranza dei padiglioni insiste sull’aspetto ludico, fino ai limiti della scemenza fine a se stessa, per quanto iper-tecnologizzata: il Messico, ad esempio, o la non poco inquietante Corea. Mi ha colpito Israele, che va controcorrente proprio per la sua adultità. L’ho visitato mescolandomi ad una folla di spettatori comuni, né apocalittici né integralisti, gente serena in cerca di svago. Dentro le due sale si ritorna all’improvviso adulti, per via della regia che strizza un occhio alle consuetudini locali: il fascino seduttivo femminile della protagonista, il buon vino rosso non virtuale, lo charme dell’attore che ti introduce allo stand. Un “Israele italiano” che sarebbe piaciuto anche ad Alberto Cantoni. Applausi a scena aperta alla fine. Meritati.
Alberto Cavaglion
(24 giugno 2015)