Periscopio – Grossman e la guerra
Di straordinario interesse, sul piano storico e letterario, appare la recente pubblicazione, per i tipi della Adephi, dei diari, gli appunti e le lettere private di Vasilji Grossman, scritti in varie località della Russia, come corrispondente di guerra, negli anni tra il 1941 e il 1945 (Uno scrittore in guerra, a cura di Antony Beevor e Luba Vinogradova). Il volume, di quasi 500 pagine, contiene una serie di documenti (oltre agli scritti di Grossman, anche molti testi di altri autori, suoi corrispondenti, familiari, compagni d’arme, colleghi ecc.), dai quali la realtà di quegli anni tremendi emerge in un affresco di rara potenza e drammaticità. Il lettore, attraverso la prosa scarna e asciutta del grande scrittore – che riesce sempre a trattenere le personali emozioni, lasciando parlare la semplice realtà dei fatti -, rivive personalmente le varie fasi del conflitto, seguendo col fiato sospeso l’inarrestabile avanzata della schiacciante macchina bellica nazista, che, nel 1942, sembrava stare per prevalere, nonostante la strenua resistenza, sull’Armata Rossa.
I taccuini dell’autore – utilizzati per i suoi articoli dal fronte (spesso pubblicati con consistenti tagli e rimaneggiamenti della censura), e poi anche per i suoi straordinari romanzi (come il capolavoro “Vita e destino”, proibito dal regime e pubblicato solo di recente) – restituiscono – con gli innumerevoli gesti di eroismo e di viltà, di pietà e di crudeltà raccontati – una realtà della guerra vista dal basso, da un popolo minuto che, per lunghi anni, si trovò a vivere, giorno per giorno, minuto per minuto, a contatto quotidiano con la morte, sospeso tra l’incombenza di un presente terribile e il pericolo di un futuro che minacciava di essere ancora peggiore.
Davvero un libro di eccezionale valore, che, soprattutto se letto insieme alle opere narrative di Grossman, permette di cogliere l’essenza del processo di ricostruzione storica, e di comprendere i complessi meccanismi dell’interscambio tra cronaca e immaginazione, letteratura e storiografia.
Viene revocato nel volume, in pagine di particolare crudezza, il destino tutto particolare degli ebrei russi, oggetto, com’è noto, di una guerra nella guerra, tutta per loro, nella quale, anche dai loro conterranei, furono spesso lasciati soli. Apprendiamo, dalle annotazioni dello scrittore, molti episodi non conosciuti sugli orrori del nazismo, la cui conoscenza lascia attoniti e sgomenti. In una pagina dell’ottobre 1942, per esempio, lo scrittore scrive questa stringata riga di testimonianza, riferita al famigerato SS Sonderkommando Astrachan’, di stanza a Elista: “Morte di novantatre famiglie ebree. Ai bambini hanno spalmato veleno sulle labbra”. E apprendiamo molti nuovi raccapriccianti particolari sul funzionamento del Lager di Treblinka, nel quale Grossman fu tra i primi a entrare, dopo la fuga dei tedeschi.
Tra le infinite cose interessanti (e angoscianti) del libro, colpisce, in particolare, la descrizione di come i calmucchi, che si erano schierati contro i sovietici, dalla parte di Hitler, si adoperarono, per compiacere i nuovi padroni, a modificare tutti i programmi scolastici. “Tra le materie è scomparsa la storia – annota Grossman. Anche la geografia dell’URSS è stata abolita e sostituita dallo studio della carta fisica dell’Europa come parte del mondo (senza Paesi)…”. È forse ingiusto, viene da pensare, criticare il comportamento di quegli stati arabi che usano cancellare Israele come stato dalle certe geografiche, lasciando le sole indicazioni dei mari e dei monti di quella terra. Non fanno altro che ripetere una scelta didattica già sperimentata, nel 1942, dagli insegnanti calmucchi filonazisti della Russia occupata.
Non mancherà, agli epigoni, lo stesso successo degli iniziatori.
Francesco Lucrezi, storico
(1 luglio 2015)