Medio Oriente – L’Iran e l’accordo in bilico

john-kerryTra le fila del governo di Gerusalemme si parla di un’oramai imminente accordo sul nucleare tra le potenze occidentali e l’Iran. Nonostante le dichiarazioni del presidente Usa Barack Obama – per cui, fino a martedì scorso, le possibilità di un’intesa erano inferiori al 50 per cento – e la miccia alla controparte iraniana del suo Segretario di Stato John Kerry di abbandonare le trattative in corso a Vienna, la politica israeliana sembra convinta che la firma alla fine arriverà. A dichiararlo al Jersualem Post, alcune fonti dell’ufficio del Primo ministro Benjamin Netanyahu, da sempre contrario all’accordo. Secondo l’entourage di Netanyahu, il gruppo dei 5+1 (Usa, Cina, Gran Bretagna, Francia, Russia più la Germania) sta aprendo la strada a un Iran dotato di un’arma nucleare e non il contrario. I limiti imposti a Teheran, ha più volte affermato pubblicamente il Premier israeliano, non sono sufficienti per garantire la sicurezza di Israele, paese più volte minacciato dal regime degli Ayatollah (che fornisce armi a gruppi terroristici come Hamas e Hezbollah). E l’ostilità iraniana nei confronti dello Stato ebraico in queste ore ha preso la forma di una grande manifestazione di massa: migliaia di persone, riportano i quotidiani israeliani, sono scese oggi per le strade di Teheran e di altre città iraniane invocando la distruzione di Israele, degli Stati Uniti e bruciandone le bandiere. Si tratta del così detto “Quds day”, il giorno indetto dal regime degli Ayatollah per esprimere solidarietà ai palestinesi e invocare, come hanno fatto oggi diversi manifestanti, la cancellazione di Israele. In questo clima rovente, continuano le trattative tra Teheran e le potenze occidentali per trovare un accordo sul nucleare. “Non staremo al tavolo dei negoziati per sempre. Ci sono delle decisioni da prendere subito” ha dichiarato ieri John Kerry, ricordando che le trattative non sono “a tempo indefinito” e che “gli Stati Uniti sono pronti a porre fine al dialogo se necessario”. Un modo per cercare di forzare la mano a Teheran e velocizzare i colloqui ma anche un avviso che la possibilità di un accordo non rimarrà per sempre sul tavolo. Che ci sia o meno, per Israele non fa differenza, l’analisi su Yedioth Ahronoth di Ephraim Sneh, secondo cui in assenza di accordo l’Iran correrà ancora più spedito verso la creazione della bomba nucleare; se dovesse essere invece firmata l’intesa, allora i soldi che confluiranno nel Paese saranno utilizzati in parte per finanziare il terrorismo internazionale. Quindi in entrambi i casi, sostiene l’analista di Yedioth, Israele si troverebbe a doversi confrontare con la minaccia iraniana. Per Sneh, ex viceministro della Difesa, lo Stato ebraico deve prepararsi a ogni eventualità e creare una rete di alleanze (strada che Gerusalemme sta seguendo) all’interno di tutto quel mondo arabo preoccupato del rafforzarsi del potere di Teheran sul Medio Oriente. Secondo Sneh, inoltre, la politica israeliana per poter essere più forte sul fronte estero deve decidere definitivamente sulla questione dei “due Stati nella Terra di Israele o uno Stato”, ovvero in merito alla linea da portare avanti con i palestinesi. Su questo fronte, quello palestinese, intanto arriva la notizia della decisione di Mahmoud Abbas di richiamare il suo inviato in Cile, Imad Nabil Jadaa, dopo la diffusione di un video – rilanciato dall’Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy (Isgap)- in cui quest’ultimo rispolverava in un discorso pubblico l’odiosa teoria del complotto ebraico, citando il noto falso dei Savi anziani di Sion per suffragare la sua tesi. “Sappiamo dalla storia che l’antisemitismo inizia con gli ebrei ma non finisce mai con gli ebrei”, ha denunciato il dottor Charles Small, direttore dell’Isgap. “Per troppo tempo i leader palestinesi e occidentali hanno tollerato l’intollerabile”, ha continuato Small riferendosi alla violenta retorica antisemita usata “da alcuni uomini della leadership palestinese e da altri islamisti”. Secondo quanto riporta Haaretz, il leader palestinese Anp si sarebbe infuriato una volta appresa la notizia del discorso del suo ambasciatore in Cile, chiedendone l’immediato rientro.

d.r.

(10 luglio 2015)