Israele, diritti umani, terrorismo:
i grandi assenti di Vienna

iran È stato richiesto al regime iraniano di fermare l’arricchimento dell’uranio, incluse le migliaia di centrifughe che girano nell’impianto di Natanz? È stato imposto all’Iran lo smantellamento del reattore per acque pesanti di Arak e dello stabilimento per la produzione del plutonio? È stato pretesa l’interruzione dello sviluppo del programma missilistico iraniano? O che il regime sia pronto a ispezioni delle proprie strutture nucleari in qualsiasi momento e luogo? Queste domande (per la cronaca tutte con risposta negativa) rappresentano alcuni dei 16 quesiti sollevati in un editoriale pubblicato sul Times of Israel a firma del direttore David Horovitz a poche ore dall’annuncio dell’accordo raggiunto tra la Repubblica degli Ayatollah e il cosiddetto 5+1 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Francia, Cina più Germania, coordinati dal Rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione europea Federica Mogherini). Profonda la preoccupazione di Israele, espressa da più voci appartenenti alla maggior parte dell’arco politico, ma in particolare dal primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha parlato apertamente di “sconcertante errore di portata storica” non appena l’esito del vertice in corso da settimane a Vienna è rimbalzato sui media di tutto il mondo.
“Siamo stati noi a portare la questione iraniana all’attenzione del mondo. Non fosse stato per Israele, l’Iran avrebbe raggiunto la bomba atomica anni fa” ha poi rincarato Netanyahu, che ha definito l’accordo negativo “in tutti gli aspetti”, rivendicando il diritto di difendersi dello Stato ebraico.
D’altronde, come nota Nahum Barnea, influente giornalista del quotidiano Yedioth Ahronoth, tradizionalmente lontano dalle posizioni del premier, sfogliando le 159 pagine del documento, il grande assente è proprio Israele, sintomo “di un accordo firmato sopra le nostre teste, come se non ci fosse niente tra Teheran e Vienna se non le buone intenzioni del regime degli Ayatollah”. Barnea ha criticato Netanyahu per non essere stato capace di porre lo Stato ebraico in una posizione diversa, e ha espresso scetticismo per la possibilità che primo ministro possa effettivamente persuadere il Congresso americano a respingere l’accordo: gli analisti sottolineano infatti come al Senato, oltre alla maggioranza repubblicana che si esprimerebbe senza difficoltà per un no, servirebbero almeno 13 democratici per evitare che il presidente Barack Obama abbia la possibilità di porre il veto sul risultato del voto, un numero improbabile da raggiungere, nonostante il premier abbia rimarcato che sul tema non è stata ancora detta l’ultima parola.
E d’altra parte non è solo Israele, il paese che nel corso dei decenni i leader iraniani hanno più volte promesso di spazzare via, l’assente da trattative ed esiti dei negoziati di Vienna: nel documento non si parla della repressione dei diritti umani perpetrata dal regime, così come del suo sostegno al terrorismo internazionale, o all’approccio aggressivo nella politica estera con le ripetute minacce non solo a Israele ma anche all’America e all’occidente in generale.
D’altronde ad ammettere i limiti dell’accordo raggiunto pur difendendolo strenuamente, è stato lo stesso Obama.
“Non dobbiamo giudicare questa intesa domandandoci se essa risolve ogni problema che riguarda l’Iran, se stiamo eliminando qualsiasi nefanda attività l’Iran stia portando avanti in giro per il mondo. Il metro con cui giudicare l’accordo – e questa era la sua premessa iniziale, condivisa anche dal primo ministro Netanyahu – è che l’Iran non possa ottenere l’arma atomica” ha dichiarato il presidente USA intervistato da Thomas Friedman per il New York Times. Obama ha sostenuto la validità delle clausole, dai meccanismi di verifica dell’ottemperanza del paese, alle finestre temporali, ricordando comunque che, se è vero che il documento non offre una garanzia assoluta che l’Iran non raggiunga mai l’ordigno nucleare, le alternative a siglarlo sarebbero state peggiori.
Solo il tempo potrà rivelare se la nuova era che, tutti sembrano concordare, si è aperta per l’area mediorientale porterà sviluppi positivi oppure ulteriore catastrofe, in una regione che negli ultimi anni sembra essere precipitata in una spirale di buio inarrestabile, dalla crisi siriana all’Isis.
E tuttavia, alcune domande di fondo rimangono oggi senza risposta, nelle 159 pagine dell’accordo così come nelle 5000 parole dell’intervista a Obama pubblicata dal New York Times: se l’Iran deciderà di proseguire nel perseguimento dell’arma nucleare nonostante tutto, la comunità internazionale potrà impedirglielo? E potrà o vorrà impedirgli di mettere in pratica le sue minacce nei confronti di Israele, se domani o nei prossimi anni, la sua leadership sceglierà di passare dalle parole all’azione?

Rossella Tercatin

(15 luglio 2015)