“Responsabili di violenze fuori da ebraismo”
“Le parole più efficaci in linea con quella che è la nostra identità e i valori che vogliamo testimoniare le ha pronunciate il presidente Rivlin: non è la nostra via, non è la via del popolo d’Israele”. Parte da queste affermazioni rav Giuseppe Momigliano, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, per esprimere la ferma condanna, a titolo personale e a nome di tutto il rabbinato italiano, per i fatti di sangue delle ultime ore: il rogo nel villaggio palestinese di Kfar Douma in cui ha perso la vita la vita il piccolo Ali Saad Dawabsheh, l’attacco omofobo contro i manifestanti del Gay Pride di Gerusalemme. Oltranzismo e fanatismo religioso la radice comune dei due orrendi episodi.
“Sono gesti contrari a qualsiasi valore ebraico. Per questo – dice rav Momigliano – è importante che contro questa barbarie si levi una voce forte, un unico fronte che dal rabbinato arriva alla società civile. E che dalle parole si passi immediatamente ai fatti. Quello che sta succedendo in Israele in queste ore fa ben sperare”. Resta la preoccupazione per l’ambiente e i disvalori in cui sono maturate tali azioni. Ed è fondamentale, incalza il rav, una riflessione sul tema della responsabilità. Sia individuale che collettiva.
Il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, è telegrafico: “Tutti questi comportamenti non hanno a niente a che fare con la legge ebraica, la halakhah. Non c’è altro da aggiungere”. Perché su questo punto, afferma, non servono letture particolari. La linea è chiara e non interpretabile diversamente.
Rav Benedetto Carucci Viterbi, preside delle scuole ebraiche di Roma, tratta questo tema nel suo consueto contributo domenicale. Una riflessione che parte dal comandamento ‘Non uccidere’. “Non uccidere senza ma – dice il rav – senza selezione falsamente giustificativa delle vittime, senza riflessioni su maggiore o minore risalto nei media”. Perchè ‘non uccidere’ lo dice la Torah. “Punto”.
Rav Pierpaolo Pinhas Punturello, rappresentante per l’Italia dell’organizzazione Shavei Israel, sottolinea l’importanza di un “Tikkun Olam”, il concetto ebraico di riparazione del mondo. Queste le sue parole: “Il gesto di un haredì che ha accoltellato alcuni manifestanti al gay pride di Gerusalemme e il brutale incendio di una casa vicino Ramallah con la conseguente morte di un bambino di 18 mesi, schiacciano senza possibilità di respiro gli orizzonti della mia identità ebraica. Il tikkun olam in alcuni giorni del mondo è una necessità e un obbligo morale che cade come un macigno su ognuno di noi”. Un macigno, sottolinea, “che si è formato lentamente, come detriti depositati sulla foce di un fiume e quei detriti sono tutte le radicalizzazioni che caratterizzano a volte violentemente le nostre comunità e la società di Israele”. Troppo spesso, sostiene rav Punturello, “siamo stati in silenzio di fronte alle violenze verbali o scritte del nostro ebraismo d’Italia e troppo spesso la società israeliana ha sottovalutato episodi come quelli del gruppo di ‘tag mechir’. Ed oggi siamo qui, sulla riva del fiume a piangere gli errori del nostro popolo, cioè a piangere giovanissime vite spezzate e citando Hannah Arendt: “Gli errori del mio popolo mi procurano dolore più degli errori di altri popoli”.
Rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova, cita il passo dal Deuteronomio che recita “E amerai l’Eterno tuo Dio”. E spiega: “I maestri del Midrash insegnano che questo verso si riferisce all’amore verso Dio che si deve far nascere nelle altre persone, come fece Abramo nostro padre. Non è però sufficiente, per adempiere a questa mitzvà, il nostro personale amore, bisogna considerare soprattutto quello che riusciamo a far scaturire negli altri attraverso il nostro insegnamento e il nostro esempio”. E quindi, conclude il rav, “guai a coloro che sono vergogna per la Torah e il popolo di Israele”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(2 agosto 2015)