Lo storico reportage del Forward
Uno sguardo ebraico sull’Iran

Schermata 2015-08-12 alle 16.06.55L’Iran visto dall’interno, chiedendo ai suoi cittadini cosa pensano dell’accordo sul nucleare siglato con gli Stati Uniti e con le altre potenze, che opinione hanno di Israele e degli ebrei, cosa vuol dire vivere in uno Stato che viola continuamente i diritti umani, e soprattutto quali sono le loro speranze per il futuro. Il tanto atteso reportage sull’Iran dell’americano Jewish Daily Forward, primo giornale ebraico ad avere il permesso ufficiale di entrare in terra iraniana e scrivere del regime degli Ayatollah, è online. A firmarlo, Larry Cohler-Esses, giornalista esperto di Medio Oriente con un passato da docente di inglese nell’Iran pre-rivoluzione islamica.
Il lungo resoconto di Cohler-Esses è un affresco, attraverso le parole delle persone incontrante nel viaggio – semplici cittadini così come ayatollah o membri del governo -, della complessità di un Paese che sembra aspirare a un cambiamento, a un nuovo futuro, ma di cui molti, Israele in primis, vogliono capire le intenzioni. In modo asciutto e diretto, il giornalista mette in luce le contraddizioni di uno Stato considerato da una buona fetta dell’opinione pubblica internazionale come una minaccia per la pace mondiale. E, dall’altra parte, ne mette in luce gli aspetti più umani, decostruendo molti pregiudizi. Ad esempio è lo stesso Cohler-Esses a dirsi sorpreso delle reazioni ricevute in merito a Israele, sottolineando in apertura il desiderio espresso dall’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad di vedere lo Stato ebraico “sparire dalle pagine del tempo” (concetto, sottolinea il giornalista espresso anche dall’attuale leader supremo Ali Khamenei). “Nessuno aveva nulla di caloroso da dire sullo Stato ebraico – si legge nel reportage del Forward in riferimento all’incontro con alcuni ayatollah – Ma incalzati sulla questione se la loro opposizione fosse contro la politica di Israele o contro la sua stessa esistenza, in molti sono stati irremovibili: contro la politica di Israele. Altri, nonostante la loro opposizione ideologica a uno Stato ebraico, hanno affermato che accetterebbero la soluzione dei due Stati per il conflitto tra Israele e palestinesi, se i palestinesi stessi dovessero negoziarne uno e approvarlo con un referendum”.
La persona “più ferventemente antisionista, arrivando all’antisemitismo”, racconta il giornalista, incontrata nei sette giorni di viaggio è stato Hossein Kanani Moghaddam, un ingegnere coinvolto nello sviluppo del nucleare iraniano, con alle spalle una formazione in Gran Bretagna e candidato presidente alle elezioni del 2012 (quelle vinte dall’attuale presidente Rouhani). “Tutto il capitale mondiale, gli investimenti, le banche, le economie sono sotto il controllo del sionismo.. L’1 per cento del mondo è ebreo ma controllano tutta l’economia del mondo”, le deliranti affermazioni di Moghaddam. Eppure anche lui, evidentemente impregnato di pregiudizi antisemiti, alla domanda sulla soluzione dei due Stati si dice favorevole: “Sì, accetto la soluzione dei due Stati se venisse negoziata e approvata con un referendum”.
Rispetto agli iraniani “ordinari”, nel senso dei semplici cittadini, il giudizio su Israele è ancor meno marcato. “Quelli con cui ho parlato non hanno dimostrato alcun interesse nell’attaccare Israele; la loro preoccupazione era rivolta al proprio senso di isolamento e alle difficoltà economiche”.
L’articolo si addentra poi nelle complessità di uno Stato che, secondo gli iraniani intervistati con Rohani sta vivendo un’apertura, ma in cui ,quello che Cohler-Esses chiama lo Stato profondo, è ancora molto potente: ovvero il sistema controllato dal leader supremo Khamenei, che afferma di agire in nome di Dio. E questo potere che ha ucciso e incarcerato negli anni migliaia di persone, che ha soppresso nel sangue le proteste nel 2009 contro la rielezione di Ahmedinajad, ritenuta macchiata da brogli elettorali, che ha portato l’Iran ad essere il secondo Paese al mondo per numero di pene capitali ordinate; che ha allungato la sua mano sul Medio Oriente finanziando il terrorismo di Hezbollah in Libano.
Sull’intesa sul nucleare iraniano, poi, secondo alcuni non porterà a un miglioramento perché saranno solo le élite a guadagnarci, secondo altri invece potrebbe aiutare l’economia. “Queste negoziazioni hanno trattato solo questioni legate al nucleare e alle sanzioni ma non hanno affatto preso in considerazioni i diritti umani! In pratica, i negoziati non parlavano di concetti umanitari o questioni spirituali. Ma solo di soldi”. Affermazioni sorprendentemente forti, che confessa Cohler-Esses, hanno colto di sorpresa anche lui: a maggior ragione perché a pronunciarle è stato il Grand Ayatollah Yousef Saanei. Ed è proprio il tema dei diritti umani che sembra aleggiare come un’ombra nera sul cambiamento tanto invocato dalle diverse persone intervistate dal giornalista del Forward: dalle persecuzioni subite da alcune minoranze – la comunità ebraica, si legge nell’articolo, conta tra gli 8mila e i 20mila membri, “tollerati e protetti dalla legge iraniana ma soggetti a norme discriminatorie” – fino alla cancellazioni dell’opposizione politica e la violazioni dei diritti fondamentali delle persone. Le vostre città sono tappezzate di manifesti per i martiri morti nella guerra contro l’Iraq, la domanda posta dal giornalista a una coppia di intervistati, ma non c’è da nessuna parte il volto di un martire per i diritti umani. Perché? “Sarebbe impossibile in Iran mettere un manifesto simile”, ammettono. “Almeno oggi, in ogni caso”, aggiunge Cohler-Esses.

Daniel Reichel

(Nell’immagine il giornalista del Forward Larry Cohler-Esses con Mohammad Hassan Asafari, presidente del Comitato per la sicurezza nazionale e la politica estera del Parlamento iraniano)

(12 agosto 2015)