Periscopio – I marxisti oggi
Anch’io, come tanti ragazzi, molti anni fa, per un periodo breve ma intenso, ho subito il fascino di Marx e del marxismo. Anche a me, come a tanti miei coetanei, l’immagine barbuta e severa del filosofo di Treviri ha dato l’idea che qualcuno, diciotto secoli dopo Gesù, fosse tornato sulla terra per ricordare a tutti che bisogna lottare contro le ingiustizie; che è possibile cambiare la storia; che le giovani generazioni devono rompere gli schemi ereditati dai vecchi; che i privilegi dei ricchi sono spesso frutto di prepotenze e ruberie; che, come avrebbe detto poi, in una famosa canzone, Giorgio Gaber, “nessuno ha il diritto di essere felice da solo”; che la violenza può a volte essere giustificata o necessaria per dare la libertà agli oppressi e agli sfruttati; che la religione tende a coprire molte ipocrisie, se non è addirittura da considerare “l’oppio dei popoli” ecc. ecc.
Non mi vergogno di quel periodo di esuberanza e radicalismo giovanile: ho creduto, in buona fede, in qualcosa, ho conosciuto e frequentato tante persone in gamba, con le quali credevo di condividere idee e progetti di vita e, soprattutto, ho appreso una cosa fondamentale, che mi è rimasta per sempre, ossia l’idea che è bello impegnarsi in qualcosa insieme agli altri, mentre è triste e sterile chiudersi nel ‘privato’, che spesso è più noioso del ‘pubblico’, e non porta da nessuna parte.
Poi anch’io, come tanti, dopo un po’, ho cominciato a riconsiderare tutte queste cose e quel verbo che mi era sembrato così giusto, semplice e chiaro mi è invece apparso illusorio, falso e pericoloso. Ciò è accaduto quando ho cominciato a riflettere sul fatto che l’idea di giustizia non è stata inventata né da Gesù né da Marx, ma che è un eterno e sfuggente obiettivo degli uomini, che non può mai essere raggiunto in modo definitivo; che la storia, quando cambia, può anche cambiare in peggio; che non sempre i giovani sono più bravi e intelligenti dei vecchi; che il benessere materiale può anche essere il risultato di duro lavoro e la povertà la conseguenza di inattività, pigrizia e dissipazione; che la felicità e la solitudine sono condizioni interiori, che spesso non c’entrano niente con i soldi e con la storia; che c’è una differenza enorme tra usare la violenza in una dittatura e in un sistema liberale e democratico; che la religione può essere brutta o bella, a seconda di chi la vive e pratica, e che, in ogni caso, è molto ingiusto e pericoloso che ci sia qualcuno incaricato si stabilire, in modo imperativo, in cosa si debba credere e in cosa no.
Ho sviluppato, così, una radicata diffidenza verso l’insegnamento di Marx e tutta la complessa genealogia dei vari marxismi. Una diffidenza che si è trasformata in aperta avversione dopo aver letto la celebre epistola del barbuto e accigliato pensatore – discendente, com’è noto, da una famiglia di ebrei convertiti – intitolata “La questione ebraica”, nella quale, con il consueto stile apodittico e tassativo, viene fornita dell’identità israelita (vista come precipitato negativo del turpe capitalismo) una visione grottesca e deforme, in pagine infarcite di falsità e malevolenza, fino alla geniale proposta di una soluzione del problema dell'”emancipazione ebraica” attraverso l'”emancipazione della società dall’ebraismo” (anticipazione, sia pure incruenta – come annotai, su queste stesse colonne, qualche anno fa – di progetti che sarebbero poi stati messi in pratica, con mezzi più spicci, da qualcun altro). E l’avversione è diventata definitiva e irreversibile dopo che ho visto tutti i marxisti del mondo, difensori degli oppressi, schierarsi tante volte dalla parte degli aggressori, per esempio quando un piccolissimo Paese (guarda caso, popolato da ebrei: ma si tratta certamente di una mera coincidenza) è stato ripetutamente attaccato da tutti i suoi vicini, baldanzosamente coalizzati per cancellarlo dalla faccia della terra.
Si tratta di sensazioni, si dirà, che dovrebbero appartenere al passato. Ma mi sono riaffiorate alla memoria, tutte insieme, quando ho appreso dell’ascesa alla leadership del partito laburista britannico di un signore che rivendica orgogliosamente la sua fede marxista e che promette di ingaggiare una lotta senza quartiere contro tutti i soprusi, le ingiustizie e le prevaricazioni del mondo, schierandosi senza esitazioni dalla parte dei diseredati della terra. Un programma ambizioso e battagliero, di cui è parte integrante l’incondizionato sostegno a tutti i nemici, compresi i più crudeli e sanguinari, di quel piccolo staterello: che, stranamente, con gran dispetto dei marxisti, esiste ancora, e per il quale il signore in questione nutre, ovviamente, una viscerale antipatia.
Una nuova ombra nera sui cieli della vecchia Europa: che pare, ogni giorno di più, voler tornare ai suoi anni più bui.
Francesco Lucrezi, storico
(16 settembre 2015)