Israele – La violenza non ha fine
Gerusalemme, Tel Aviv, Afula, Kyrat Arba. La mappa degli attacchi del terrorismo palestinese si aggiorna di ora in ora. In meno di 24 ore oltre dieci persone sono state ferite e nel giorno di preghiera per i musulmani, il venerdì, la tensione continua a salire. Mentre le autorità israeliane cercano di riportare la calma, con un forte dispiegamento di forze e con una Capitale blindata, dal movimento terroristico di Hamas arriva un nuovo appello alla violenza: il suo leader Ismail Haniyeh ha invocato la terza intifada in Cisgiordania e scontri sono stati registrati, oltre che nella West Bank, anche al confine tra Gaza e Israele. Il motore dell’escalation di violenza palestinese, affermano gli analisti, è strettamente connesso a quanto accaduto nelle scorse settimane al Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee): i palestinesi – appoggiati da diverse voci del mondo arabo – accusano Israele di voler modificare lo status quo del luogo, sacro sia per l’Islam sia per l’Ebraismo, e di voler cacciare i musulmani dal sito. Una teoria che ha fatto presa all’interno della realtà palestinese e che è stata fomentata, anche attraverso i social network, dalla leadership di Ramallah. Israele ha più volte ribadito di non aver nessun interesse nel modificare l’accordo previsto per il Monte del Tempio e il premier Benjamin Netanyahu ha vietato ai parlamentari della Knesset di recarvisi onde evitare che questo causi ulteriori disordini. Netanyahu ha inoltre invitato pubblicamente l’opposizione a entrare nell’esecutivo per creare uno governo di unità nazionale per rispondere in modo compatto alla nuova ondata di attacchi terroristici. “La decisione è nelle mani dell’opposizione”, ha dichiarato Netanyahu affermando però, con riferimento alla sua vittoria contro la sinistra di Isaac Herzog alle elezioni di marzo, che “tutti sanno cosa sarebbe successo se ora non ci fossimo stati noi qui (al governo, ndr) ma qualcun altro”. In campagna elettorale il premier aveva più volte affermato che una vittoria dei laburisti avrebbe fatto precipitare il Paese nell’insicurezza. “I cittadini israeliani, l’esercito e le forze di sicurezza stanno affrontando questa onda di terrorismo con coraggio e determinazione ma hanno bisogno di un Primo ministro non del capo di una macchina per le relazioni pubbliche”, il commento di Herzog che ha rimandato al mittente l’invito a entrare in un governo di unità nazionale. “Le parole non fermeranno il terrorismo e non servono per la sicurezza”, l’affondo del leader laburista.
In queste ore il governo di Gerusalemme è impegnato non solo ad arginare la violenza palestinese ma anche ad evitare che si crei una spirale di vendette da parte di estremisti israeliani. A testimoniarlo la ferma condanna di Netanyahu di fronte all’accoltellamento a Dimona, nel deserto del Negev, di quattro arabi. “Israele è uno stato di diritto – ha dichiarato il premier – Porteremo davanti alla giustizia chiunque cerchi di violare le sue leggi”. La situazione di tensione, avvertiva sulle pagine di Haaretz l’analista Hamos Harel, ha un peso significativo sullo stato psicologico dell’intera società israeliana, in particolare nella zona degli insediamenti dove agiscono gli estremisti e questo potrebbe scatenare vendette. A predicare calma, invece, è Nahum Barnea dalle pagine di Yedioth Ahronoth: “La sensazione è che l’intero paese sia in prima linea, e l’intera nazione si candida ad essere accoltellata. Mi sembra un’esagerazione. È ancora meglio vivere qui che in molti altri paesi”.
d.r.
(9 ottobre 2015)