Le impressioni degli italkim
Israele, la vita non si ferma
“Non mi interessa molto sapere se queste violenze somigliano o sono diverse da quelle del passato, quello che vorrei capire è dove si approdano, dove stiamo andando”. C’è uno scetticismo realista nelle parole di Sergio Minerbi, già ambasciatore di Israele a Bruxelles e autorevole voce degli Italkim (la comunità italiana in Israele), nel descrivere l’attuale situazione israeliana, che ha visto esplodere un’escalation di violenza nelle ultime settimane. “Quanto sta accadendo non mi impressiona molto ma io dalla mia ho l’età. L’esperienza segna e insegna” afferma Minerbi a Pagine Ebraiche, rispondendo alla domanda sugli attentati terroristici palestinesi degli scorsi giorni. L’ambasciatore la sua Aliyah l’ha fatta ancor prima della nascita dello Stato ebraico, nel 1947. Diverse
invece le impressioni di un più giovane oleh come rav Pierpaolo Pinhas Punturello che osserva, in particolare a Gerusalemme, un cambiamento significativo nella vita quotidiana. “Non c’è panico ma uno stato di allerta e attenzione molto più elevato. Lo vedo riguardo ai miei figli – spiega il rav – In Israele i ragazzi sono molto più autonomi rispetto ai coetanei italiani: dodicenni vanno senza i genitori a scuola o a giocare. C’è molta più libertà. Adesso però, soprattutto dopo l’attentato a Gerusalemme in cui un bambino israeliano è stato accoltellato da un altro ragazzo palestinese, mi sono trovato a dover dire di no ai miei figli, dovendo negare alcune di quelle libertà. Per loro – aggiunge – è stato un po’ un trauma però quando ci si è resi contro che le vittime non sarebbero state solo adulti, era inevitabile alzare alcune barriere di protezione nei loro confronti”. In generale, il rav sottolinea che “non è che si è smesso di vivere, anzi. D’altra parte quando si gira per strada ci si guarda attorno con quattro occhi aperti, non due”. E lo conferma anche un’altra voce degli italkim, David Zebuloni, che nei prossimi mesi inizierà il suo periodo di leva in Israele. “È la prima volta che vivo questo tipo di violenza. Credo che la tensione sia percepibile, soprattuto per strada. La cosa che spaventa è l’imprevedibilità di queste aggressioni che hanno toccato diverse parti del paese. Quello che fa male, almeno per me, è questo inevitabile meccanismo di diffidenza che si innesca nella testa; si cominciano a guardare con attenzione e sospetto le persone. Mi sono scoperto a pensare, guardando un ragazzo arabo su un bus, che potesse essere un terrorista. È tutto questo è doloroso”. “La sensazione – afferma rav Punturello per descrivere l’aria che si respira – non è lontana dalla Napoli in cui si combatteva la guerra di camorra quand’ero bambino. Si usciva di casa con la consapevolezza di essere insicuri”. “Certo gli israeliani hanno, purtroppo, già degli strumenti per affrontare queste situazioni mentre gli olim hadashim (i nuovi immigrati) meno. Tra questi, c’è chi si è fatto prendere un po’ dal panico: una persona che conosco aveva pensato di licenziarsi per stare di più al fianco dei suoi figli, accompagnarli a scuola. Ma è evidentemente un’esagerazione, la vita non si ferma”.
Dal punto di vista politico, secondo il rav “l’Europa guarda con molta attenzione a quanto sta accadendo in Israele. Per quanto da Bruxelles arrivino critiche o si scarichi la colpa sui coloni per spiegare gli attentati, i governi europei sembra stiano prendendo consapevolezza che ciò che accade qui può succedere anche in Europa, come già successo all’hypercasher o con Charlie Hebdo”. Guarda invece alla politica interna Minerbi, senza un grande ottimismo. “Vedo una notevole confusione tra i politici, non vedo cosa si voglia ottenere con le misure prese fino ad ora, sembra che si aspetti che intervenga il padre eterno a sistemare tutto. Ci vorrebbero dei leader più coraggiosi – la posizione dell’ex ambasciatore – bisognerebbe proprio in questo momento uscire con un’iniziativa di pace. E con tutte le malefatte di Abu Mazen, una lunga lista che ricordo a memoria, rimane comunque lui l’unica voce con al momento si può trattare”. “La popolazione di Israele – continua – è comprensibilmente spaventata, non c’è l’idea di venire a patti con gli altri ma la leadership dovrebbe pensarla diversamente, rischiare. Siamo i più forti, dicono. Benissimo. Ma che ci facciamo con questa forza se è diventata lo scopo e non più il mezzo per ottenere qualcosa?”. Per Minerbi all’orizzonte non si prefigurano cambiamenti, la vita continuerà per israeliani e non seguendo gli stessi binari. “C’è bisogno di politici che non abbiano paura di perdere il consenso e io non ne vedo”. Sul fronte opposto, “gli arabi non hanno prospettive di lavoro, non hanno una lira in tasca e la cosa più remunerativa che gli viene offerta è odiare Israele. Dobbiamo spazzare via questo terreno, togliere loro queste tentazioni”.
Daniel Reichel
(15 ottobre 2015)