Terrorismo – L’appello del rav Sacks
“Leader religiosi, basta silenzio”
“I leader religiosi possono essere mediatori di pace, se si permette loro di farlo”. È il messaggio lanciato da rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth ed esponente di spicco dell’ebraismo europeo, in una intervista rilasciata all’Huffington Post in cui si mettono a fuoco i grandi temi di queste giornate, a partire dalla recente ondata di terrorismo palestinese. È un momento “pericoloso, incerto e imprevedibile” dice rav Sacks, tracciando l’orizzonte di un possibile intervento dei leader spirituali per arginare le violenze. Temi di cui si parla anche nel suo ultimo libro, “Not in God’s Name”, focalizzato sulla lotta all’odio e al fanatismo religioso.
Una lotta che richiede concretezza e non soltanto parole melliflue e vacue, denuncia il rav. “Succede – racconta – che i leader religiosi si siedono a un tavolo e decidono tutti insieme che la pace è una cosa bella, e poi rilasciano dichiarazioni, e queste non si intrecciano con nessun genere di processo politico. Ma poiché al momento abbiamo a che fare con una violenza guidata dalla religione, credo sia fondamentale intervenire in modo appropriato. Una svolta purtroppo ancora lontana per il Medio Oriente, mentre risultati positivi si sono registrati nei passati anni in Irlanda del Nord e in Sudafrica”.
Il rafforzamento della leadership religiosa, ammonisce il rav, non può passare da un rafforzamento del potere politico. Servono piuttosto franchezza e sincerità: “Si sentono assai poche voci di questo tipo: ”Ragazzi, credete di colpire il nemico, ma in realtà state colpendo voi stessi. E il risultato della vostra violenza sarà che i vostri figli perderanno anche quell’ultimo piccolo barlume di speranza, che forse un tempo avevano, per un futuro di libertà e dignità”.
Gli esiti del terrorismo palestinese, prosegue il rav, rappresentano l’esempio perfetto di come la violenza “non abbia servito nessuna causa, migliorato la vita di nessuno, ma anzi l’abbia resa peggiore ai palestinesi così come agli israeliani”. Questa, ha concluso, “è una follia cieca, e il risultato finale dev’essere che protestiamo e facciamo qualcosa, e non solo in nome della politica laica”.
(15 ottobre 2015)