L’impegno nel nome di Yitzhak

rivlin“Cari amici, giovani uomini e donne, leader dei movimenti giovanili, membri della destra e della sinistra, ultra-ortodossi, religiosi, laici, ebrei e arabi, il fatto che ci ritroviamo qui stasera, insieme per vostra iniziativa, è la vostra vittoria, la nostra vittoria”.
Con queste parole il presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin ha aperto la manifestazione che ha riunito migliaia di persone a Tel Aviv lo scorso sabato per ricordare l’anniversario dei vent’anni dall’uccisione del Primo ministro Yitzhak Rabin. Prendendo la parola, Rivlin ha voluto guardare avanti, lanciando un ammonimento: “Troppo presi dalle ferite del passato non stiamo lavorando per costruire il futuro. Perdiamo ancora molto tempo per discutere su chi ha ragione e chi ha torto quando dovremmo impegnarci per ascoltare l’uno la versione dell’altro”.
Un’eredità, quella lasciata da Rabin, ucciso dal fanatico di destra Yigal Amir durante una manifestazione per la pace nella piazza che avrebbe preso il suo nome, che Rivlin vuole raccogliere e perpetuare. Durante la cerimonia di Stato organizzata in occasione della data ebraica della morte del premier, il 12 di Cheshvan, il Presidente è stato ferreo nel difendere la sua memoria: “Finché ricoprirò questo incarico – ha esordito – il suo assassino non sarà liberato. Che sia maledetta la mia mano se dovessi firmare la grazia per quel uomo malvagio”. Una dichiarazione che non è piaciuta al fratello dell’attentatore, Hagai Amir – che ha passato sedici anni in prigione perché ritenuto complice di Yigal -, che su Facebook ha scritto minacce farneticanti ai danni del Presidente d’Israele ed è stato poi fermato dalla polizia: “Rivlin è un politico parassita – si legge nel post – non può decidere quando mio fratello venga rilasciato o meno, solo l’Onnipotente decide, così come ha deciso che Rabin sarebbe morto, che Rivlin sarebbe diventato presidente ed è arrivata l’ora che decida che Rivlin e lo stato sionista scompaiano dal mondo come Sodoma a causa i crimini commessi contro il loro popolo. Quel giorno non è poi così lontano”.
La morte di Rabin, ha proseguito il Presidente durante il suo discorso, ha segnato un’epoca: “Noi siamo la generazione di coloro il cui mondo fu sconvolto dall’assassinio. Siamo la generazione che ricorda i disordini che precedettero l’uccisione. Siamo la generazione che tiene a mente come dopo quell’atto efferato fossimo terrorizzati dalla possibilità di una guerra civile e dalla paura che la democrazia d’Israele e lo Stato ebraico ne sarebbe uscito distrutto”. Ha poi rievocato il momento del funerale: “La marcia funebre iniziò alla Knesset, la casa della democrazia, un gesto decisamente simbolico perché i tre colpi inferti alla schiena di Yitzhak non colpirono solo lui ma aprirono una ferita nel cuore della stessa democrazia”.
C’è da chiedersi, ha concluso Rivlin “Se a vent’anni dall’omicidio abbiamo fatto abbastanza per riparare le falle che si sono aperte, se abbiamo inciso abbastanza sulla coscienza di queste nazione, delle generazioni future mettendo in guardia sul potere distruttivo della violenza”.
“Probabilmente l’assassinio di Rabin è stato il giorno peggiore dei miei otto anni di mandato come Presidente degli Stati Uniti”, ha confessato Bill Clinton presente alla grande manifestazione di sabato e introdotto dalla figlia dell’ex Primo ministro d’Israele, Dalia. “L’eredità di Rabin è chiara a tutti e inviolabile – ha spiegato Clinton che fu uno dei protagonisti principali degli Accordi di Oslo – egli ha rischiato la sua vita per creare e difendere Israele. Ha speso la sua vita per i valori e gli interessi di Israele e ha dato la sua vita per potervi fare vivere in pace”. “Adesso tocca a voi – ha incalzato – tutti voi dovete decidere, dopo che ve ne sarete andati via di qui stasera, come far finire il capitolo di questa storia”.
Ad esprimere il proprio cordoglio, anche l’attuale Presidente Usa Barack Obama, che in un video ha dichiarato commosso: “Un proiettile può portare via la vita di un uomo, ma il suo sogno di pace non morirà mai”.
Rievoca con dolore quel 4 novembre del 1995 durante la cerimonia di Stato, Shimon Peres che fu premier prima di Rabin e divenne il ministro degli Esteri durante il suo mandato. Peres si commuove nel vedere l’intera famiglia del leader assassinato, nipoti e pronipoti oramai cresciuti e confida quanto Rabin, il suo eterno rivale e compagno di battaglie, gli manchi: “Oggi, vent’anni dopo l’assassinio, io dico che il criminale che ha cercato di distruggere la democrazia e la nostra speranza di pace, non è un vincitore ma un killer. E uno come lui deve restare in prigione fino alla fine dei suoi giorni. Ti hanno ucciso amato e leale leader, ma la strada che hai spianato rimane viva” ha aggiunto.
“L’assassinio di Rabin – ha preso la parola l’attuale Primo ministro Benjamin Netanyahu – fa parte di una lista di eventi traumatici della storia del nostro popolo. La sua uccisione è stata una grande frattura nella società israeliana e la ferita brucia ancora e non guarirà mai”. “Ma – ha aggiunto Netanyahu – c’è una ragione profonda dietro al mancato raggiungimento di un accordo di pace ed è dato dal fatto che i palestinesi non sono pronti a riconoscere una volta per tutte lo Stato ebraico e a porre fine a questo conflitto”. “Lo sappiamo bene – ha concluso – la pace per essere raggiunta deve essere radicata nella sicurezza e questo lo sapeva bene anche Rabin: era un leader realista e non ha mai incolpato noi stessi per l’esistenza del terrorismo”.

r.s twitter @rsilveramoked

(4 novembre 2015)