Il naufragio degli Accordi di Oslo
Quelle di Yitzhak Rabin e di Yasser Arafat intrecciate al centro, quelle di Bill Clinton aperte quasi in un abbraccio ai lati della fotografia che fece il giro del mondo. Furono le mani a parlare la mattina in cui a Washington, sul prato verde del cortile della Casa Bianca, il Primo ministro israeliano e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina si riconoscevano reciprocamente di fronte al presidente statunitense come legittimi interlocutori. Era il 13 settembre del 1993, e i due leader si stringevano per la prima volta la mano in occasione della storica firma degli Accordi di Oslo, il documento che costituì un punto di svolta nel dialogo tra le due parti. E se non fosse stato sufficiente il gesto, quel giorno furono memorabili anche le parole: “Noi, soldati ritornati dalla battaglia macchiati di sangue, noi che abbiamo combattuto contro di voi, i palestinesi, vi diciamo oggi con voce forte e chiara: basta sangue e lacrime, basta!”, le esclamazioni Rabin nel suo discorso.
In realtà il vero nome degli Accordi di Oslo è “Dichiarazione dei principi”. La capitale norvegese è passata alla storia in questo contesto perché i primi incontri spontanei tra i delegati palestinesi e quelli israeliani furono ospitati proprio in quella città. Per la prima volta gli israeliani riconobbero nell’OLP l’interlocutore ufficiale che parlava per il popolo palestinese e gli riconobbero il diritto di governare su alcuni dei territori occupati militarmente. L’OLP da parte sua riconobbe il diritto di Israele a esistere e rinunciò formalmente all’uso della violenza per ottenere i suoi scopi, cioè la creazione di uno stato palestinese. Due riconoscimenti reciproci che già per se stessi costituivano una novità assoluta, ma l’accordo conteneva anche un piano specifico per mettere in atto una soluzione definitiva a un conflitto secolare. Israele prometteva infatti di ritirarsi da Gaza e dall’area di Gerico, in Cisgiordania, e che anche che nei cinque anni successivi si sarebbe ritirata da altri territori occupati militarmente. In tali territori poi si sarebbero insediati dei governi palestinesi eletti localmente, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Un numero di spiragli aperti senza precedenti, il processo per arrivare al quale fu lungo e ricco di sfide e di sessioni, 14 per la precisione tra il 1992 e 1993, fino all’ultima a Washington, con la mediazione degli Stati Uniti.
Qualche retroscena. Quando si incontravano a Oslo, i delegati vivevano nella stessa villa e a volte passeggiavano insieme per i boschi, e dunque gli Accordi furono esito oltre che degli incontri ufficiali anche delle moltissime discussioni e incontri informali tra quelle fronde. Il documento che ne conseguì fu poi firmato sullo stesso tavolo di legno dove era stato firmato il trattato di pace tra Egitto e Israele nel 1979. In una cronaca datata proprio 13 settembre del 1993 inoltre il New York Times racconta che, quando alla fine arrivò il momento della tanto attesa stretta di mano, “il pubblico presente si lasciò andare a un sospiro di sollievo e a uno scroscio di applausi gioioso mentre Clinton con le lacrime agli occhi assisteva raggiante”. E che dopo la famosa stretta di mano, Rabin si fosse girato verso Shimon Peres, allora ministro degli Esteri, dicendo: “Ora tocca a te”.
Certo quel primo dialogo tra mani resterà sempre un’immagine simbolica del tentativo di trovare un accordo per la pace, un fisico punto di contatto tra “i due vecchi guerrieri che personificavano il conflitto tra i loro due popoli”. Però vale la pena citare anche il primo dialogo a parole di quel giorno, avvenuto quando Rabin e Arafat rimasero per qualche minuto soli con Clinton nello Studio Ovale, terminate le presentazioni con tutti gli altri dignitari. “Lo sai, abbiamo molto lavoro da fare”, disse Rabin cupamente, che, come molti prima e dopo di lui, non si fidò mai del leader palestinese (come dimostra la ritrosia a stringere quella famosa mano). “Lo so – rispose Arafat – e sono pronto a fare la mia parte”. Rabin sarà assassinato mentre il leader palestinese non darà seguito alla sua affermazione e gli Accordi di Oslo rimarranno in una sorta di limbo. Israele proporrà nuove soluzioni, con l’appoggio di Clinton, in particolare con gli accordi di Camp David del 2000 ma Arafat non darà seguito alle sue parole. Non farà la sua parte per la pace.
f.m twitter @fmatalonmoked
(4 novembre 2015)