Israele – Le accuse alla Mezzaluna Rossa
Se un’ambulanza non si ferma
Umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontariato, unità e universalità.
Sono questi i sette principi su cui si basa l’organizzazione umanitaria della Mezzaluna Rossa palestinese, l’organizzazione umanitaria nata nel 1968 e affiliata al movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa.
Principi messi ora in discussione dal governo israeliano che ha denunciato un mancato soccorso avvenuto lo scorso venerdì, quando rav Yaakov Litman e suo figlio Netanel, diciotto anni, sono stati freddati da un terrorista palestinese mentre erano in macchina nei pressi di Hebron con gli altri membri della famiglia (la moglie e quattro figli) rimasti miracolosamente illesi.
Secondo quanto ricostruito, dopo l’aggressione, uno dei figli di Litman avrebbe chiamato il Magen David Adom, il servizio di pronto soccorso israeliano, avvertendo che sulla scena era arrivata un’ambulanza della Mezzaluna Rossa palestinese salvo poi andarsene via senza un motivo specifico (se non quello di aver constatato che fossero ebrei) e soprattutto senza aiutare i feriti che sarebbero poi deceduti. A confermare questa versione ci sarebbe inoltre la registrazione della telefonata al Magen David Adom avvenuta all’interno del veicolo.
Un’accusa duramente respinta dal portavoce della Mezzaluna Rossa che venerdì ha rilasciato un comunicato: “Neghiamo categoricamente quanto riportato – ha dichiarato, dando una propria versione dei fatti – il nostro team è arrivato sul luogo e ha provveduto a dare un primo soccorso ai feriti. Alcuni minuti dopo sono arrivate due ambulanze israeliane, una appartenente all’esercito e una al Magen David Adom e avevano con loro delle armi. È stato solo a quel punto che i paramedici della Mezzaluna Rossa hanno lasciato la scena perché non si sentivano più al sicuro. I principi umanitari su quale si fonda la nostra organizzazione sono indiscutibili”. L’uomo alla guida dell’ambulanza israeliana avrebbe però testimoniato che effettivamente il team palestinese non sarebbe mai uscito a prestare le prime cure.
Intanto il Premier Benjamin Netanyahu ha incaricato l’ambasciatore presso le Nazioni Unite Danny Danon di denunciare l’avvenuto al segretario dell’ONU Ban Ki-Moon e di chiedere provvedimenti, dichiarando: “Questo incidente sembra molto grave. Non posso non menzionare il fatto che il pronto soccorso israeliano aiuta indiscriminatamente ebrei, arabi e chiunque ne ha bisogno”.
Da mesi infatti Israele provvede a curare al confine i feriti vittime della guerra civile siriana, oltre ad organizzare spedizioni all’estero (una delle ultime dopo il terribile incendio avvenuto in una discoteca di Bucarest lo scorso ottobre, ma anche in seguito alla strage di Parigi), oltre a prestare soccorso e curare negli ospedali israeliani i terroristi palestinesi feriti, coinvolti nell’ultima Intifada dei coltelli che ha colpito il Paese.
A confermare l’impegno senza bandiere del servizio sanitario d’Israele, Ahmed Eid, medico arabo israeliano dell’ospedale Hadassah di Gerusalemme, che lo scorso mese ha salvato il giovane israeliano 13enne accoltellato da un suo coetaneo palestinese, curato, anche quest’ultimo, nella stessa struttura: “Quello che succede nel nostro Paese – aveva spiegato Eid – ricade su di noi ma non influenza il nostro lavoro. L’Hadassah è un posto molto speciale”.
r.s. twitter @rsilveramoked
(16 novembre 2015)