Archeologia – Una pietra, molti interrogativi

Magdala-750x440Di certo nel I secolo e.v. non esistevano smartphone con cui fare una foto da pubblicare un secondo dopo sui social. Per questo le incisioni sulla cosiddetta Pietra di Magdala, ritrovata nel sito archeologico sulle rive del lago di Tiberiade che viene chiamato “la Pompei israeliana” perché la vita è rimasta cristallizzata a quell’epoca e dove sorgono le rovine di una delle sette sinagoghe più antiche al mondo, sono qualcosa che oggi avrebbe meritato un impressionante numero di like. La sua superficie, che veniva probabilmente usata per appoggiare la Torah da leggere e commentare, è infatti scolpita a mo’ di edificio in tre dimensioni, e non un edificio qualunque. L’architettura ma soprattutto i simboli suggeriscono infatti che si tratterebbe del secondo Santuario di Gerusalemme, e ciò che rende la scoperta particolarmente straordinaria per l’archeologia biblica è il fatto che siano stati scolpiti mentre il Santuario stesso era ancora in piedi. In pratica, appunto, un’istantanea, che ha fatto riflettere gli studiosi e ribaltato in una certa misura l’opinione comune su quale fosse il rapporto tra il Tempio di Gerusalemme e le altre sinagoghe in un periodo clou come quello in cui l’ebraismo cominciò a confrontarsi con l’avvento del cristianesimo.
Gli esperti hanno infatti ritenuto per molto tempo che nel periodo precedente alla distruzione del Tempio nel 70 e.v. le sinagoghe non fossero luoghi sacri bensì fossero usate come luoghi di assemblea e studio, più simili a quelli che sono ora centri sociali delle Comunità ebraiche. Il concetto attuale di sinagoga come luogo destinato alla preghiera e ai riti religiosi si sarebbe invece sviluppato dopo con la diaspora. Ma la Pietra di Magdala si trovava proprio all’interno dell’antichissima sinagoga, e questo ha fatto ipotizzare a Rina Talgam, ricercatrice dell’Università Ebraica di Gerusalemme specializzata in arte antica del Medio Oriente, che forse invece fosse stata posta lì per conferire al luogo una certa sacralità, come “un tempio minore” anche mentre il Tempio con la maiuscola esisteva ancora.
Che ruolo aveva dunque la pietra? E che cosa ci fa una menorah scolpita sul suo lato proprio sopra all’altare? Sono queste le domande su cui si arrovellano gli studiosi da anni, precisamente da quando nel 2009 Magdala è venuta alla luce. Sul suo sito doveva infatti sorgere un resort per pellegrini cristiani, ma in Israele una saggia routine vuole che prima di costruire anche un semplice castello di sabbia vi debba essere un sopralluogo da parte di archeologici inviati dal governo per controllare che non ci sia nessun tesoro antico che possa essere distrutto dal progetto. E così è venuta alla luce questa sinagoga rimasta uguale a se stessa dal I secolo, nel luogo che si è rivelato essere la presunta città natale di Maria Maddalena, con tanto di piazza del mercato e quartieri di pescatori tutto intorno. Si pensa addirittura che Gesù stesso vi abbia insegnato e una moneta del 29 e.v., quando era ancora in vita, avvalorerebbe l’ipotesi.
Del resto, Talgam non è la sola a pensare che la Pietra di Magdala sia una scoperta rivoluzionaria. Elchanan Reiner, professore in pensione alla Tel Aviv University, ha affermato che la pietra nasceva probabilmente per rappresentare il luogo dove si credeva risiedere Dio, o uno spirito divino, e il suo posizionamento all’interno della sinagoga “dà un nuovo significato all’edificio pubblico“. Per gli ebrei che vivevano in Galilea all’epoca, ha infatti affermato, non era certo una passeggiata da fare in poche ore arrivare a Gerusalemme e nonostante potesse esserci un unico vero Tempio, inteso appunto come luogo sacro, la Pietra suggerisce che potesse esistere qualcosa che vi si avvicinava a Magdala, “portando la comunità più vicino e allo stesso tempo più lontana da Gerusalemme“.
Un altro indizio è dato inoltre dalla menorah scolpita su un lato, un elemento piuttosto insolito per l’epoca. Un candelabro simile è descritto nella Bibbia e si crede si trovasse nel Tempio, emergendo come simbolo ebraico di speranza e redenzione solo secoli dopo. ”Ma con il tempio ancora in piedi e perfettamente funzionante – ha osservato David Mevorah, curatore del settore di archeologia ellenistica, romana e bizantina all’Israel Museum – che bisogno c’era di un simbolo di speranza e redenzione?”.
Non che si siano trovate delle vere risposte a queste domande, ma di certo è un argomento che sarà approfondito. “Ci sarà dibattito“, ha annunciato Talgra. “Ma – ha aggiunto – è così che deve andare“.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(9 dicembre 2015)