J-Ciak – Sapore di Oscar

il figlio di saukLa corsa all’Oscar entra nel vivo, con una raffica di temi legati al mondo ebraico. A fare la parte del leone sono, su questo fronte, i candidati a miglior film in lingua non inglese.
Primo fra tutti Il figlio di Saul (Ungheria) di László Nemes, vincitore del gran Prix speciale della giuria a Cannes, il film di cui in questi giorni si parla come del possibile vincitore.
Da poco nominato ai Golden Globe, i premi assegnati dell’associazione della stampa straniera di Hollywood che spesso riescono ad anticipare gli Oscar, Il figlio di Saul narra del disperato tentativo di Saul Auslander, Sonderkommando a Auschwitz, di dare sepoltura al corpo del figlio. Rigoroso e claustrofobico, l’ultimo lavoro di Nemes ci sprofonda nell’inferno del campo di sterminio tra angoscia e ambiguità. Il tema è potente, la regia notevole come l’interpretazione Géza Röhrig, alle spalle studi alla Chassidic yeshiva di New York e al Jewish Theological Seminary, nella parte di Saul.
La vittoria di Nemes sarebbe una singolare coincidenza con il vincitore dello scorso anno, Ida di Pawel Pawlikowsky, storia di una giovane che, nella Polonia degli anni Sessanta, mentre sta per prendere i voti scopre che i genitori erano ebrei e sono morti durante l’occupazione nazista.
La Shoah è anche al centro di Labirinto del silenzio (Germania) di Giulio Ricciarelli. Il film racconta la storia vera di Johann Radmann, giovane e determinato procuratore che nella Germania degli anni Cinquanta riesce, fra mille battaglie, a portare in tribunale alcuni dei responsabili dei crimini di Auschwitz. Il processo ha il merito di riportare il genocidio nazista all’attenzione pubblica, proprio negli anni in cui i tedeschi cercano di dimenticare o di ignorare quanto è stato.
Decisamente più lieve la candidatura canadese. Felix e Meira di Maxime Giroux è una delicata storia d’amore che nasce e cresce nel gelo di un inverno a Montreal. Lei, interpretata dall’israeliana Hadas Yaron, già apprezzata in La sposa promessa, appartiene alla comunità hasssidica, è sposata con Shulem (Luzer Twersky, che nella realtà è nato e cresciuto nella comunità Satmar) e ha una bambina. Lui, che non è ebreo e vive alla giornata grazie ai soldi del padre. non dovrebbe nemmeno sfiorarla con gli occhi. Ma succede e il sentimento fiorisce mentre le vite s’intrecciano.
Ci si sposta in tutt’altro clima e tutt’altri umori con Baba Joon, il film in farsi candidato da Israele. Diretto da Yuval Delshad e ambientato in un moshav del Negev, ci porta nel mondo degli ebrei immigrati dall’Iran al crocevia di uno scontro fra generazioni. Il nonno, tradizionalista e legato al passato, ha messo su con mille sacrifici un allevamento di tacchini. Il figlio porta avanti con fatica il retaggio famigliare ma il giovanissimo Moti, nato e cresciuto in Israele, si ribella e difende il diritto a scegliere la sua strada.
Saliamo un po’ a nord e al posto dei tacchini troviamo delle mucche, in The Wanted 18 (Palestina) film diretto dal canadese Paul Cowan e da Amer Shomali che mescola interviste, materiali d’archivio, scene e animazioni per raccontare la storia vera di un gruppo di palestinesi di Beit Sahour che negli anni Ottanta decide di non comprare più il latte israeliano e, con l’aiuto di un amico kibbutznik, si procura le proprie mucche. Il “latte dell’intifada”, come sarà chiamato, avrà però una vita piuttosto assurda oltre che complicata.
La strada per arrivare all’Oscar è ancora lunga, accidentata e costellata di premi, dai Golden Globe agli inglesi Bafta al francese César e via di seguito. Ma il filone ebraico si profila fin d’ora come di grande impatto.

Daniela Gross

(Nell’immagine, una scena de Il figlio di Saul)

(17 dicembre 2015)