Provaci ancora, Don
Leggo di tutto, o quasi. In orari differenti, su supporti diversi, di tutto. Fiction e non fiction, contemporanei, classici, teatro poesia fumetto. Leggo per leggere. E, per dire della gravità della mia malattia, che è anche cura, non snobbo nemmeno Fabio Volo: la sua capacità di banalizzare, di intercettare il minimo comun denominatore narrativo, è notevole quanto è preoccupante il seguito che ottiene. Non ho pregiudizi insomma. Beh, quasi: i libri di Bruno Vespa non li leggo, e me ne vanto.
Distinguo però, con acribia, i libri di passaggio da quelli da fermata. E credo di saper valutare con buona approssimazione sia la qualità sia la durata di un testo.
Ce ne sono alcuni che, tuttavia, mi sono difficili da classificare, come quello dell’odierno Esercizio di Lettura, Il cartello, di Don Winslow (Einaudi, 22 Euro). Proverò a capirlo mentre ne scrivo, seguitemi se vi va, vediamo dove vado.
A favore di questo attesissimo seguito de Il potere del cane ci sono la quantità di dati e riferimenti reali a proposito della produzione, logistica, trasporto, smercio e consumo di droga. Che in Messico, da molti anni, siano in corso alcune vere e proprie guerre – fra trafficanti rivali, fra trafficanti e governo, fra parti di governo e altre parti di governo, eccetera – è cosa nota, temo. Come, chi, con quali armi e quali risultati, meno. Probabilmente pochi leggerebbero un saggio di quasi 900 pagine sul tema, ma un romanzo, invece…
Contro questo libro violento e spietato, c’è – ben trasmessa ai lettori dall’indiscutibile capacità di Winslow di narrare – un certo compiacimento dell’autore americano per le descrizioni delle varie forme di orrore messe in atto da narcotrafficanti, poliziotti, autorità e altri mostri. Lui direbbe che non ha inventato nulla, e probabilmente è vero; che la brutale narrazione ha lo scopo di svegliare le coscienze, di far provare l’orrore per motivare la repulsione, e dunque il riscatto. Temo invece che, come in altre forme cinematografiche e televisive di ordinarie violenze, a prevalere nel pubblico siano effetti di mitridizzazione: ci abituiamo all’orrore, in attesa spaurita del prossimo, ancora maggiore.
Come forse saprete già, ‘la saga di Art Keller’ – dal nome del protagonista buono, ma cattivo con i più cattivi di lui – diventerà un film. Diventerà? È già un film, e questo, per me, è un motivo in più per valutare questo libro fra quelli di passaggio. Tra sparatorie, esecuzioni, stupri e eroismi quasi sempre destinati alla morte, la storia di Art il Buono procede fino all’epilogo prevedibile, e proprio per questo ben accolto.
A favore, e non è fattore di poco conto, va detto che Il cartello si legge fino alla fine, non proprio con quella tensione di cui scrivono altri illustri recensori, ma non lo si molla. Temo però (avrete già inteso da che parte sta andando la mia giuria) che lo si faccia più per dipendenza che per altro. E, in un libro che dovrebbe – nelle dichiarate intenzioni dell’autore – farci sentire diversi e migliori dei suoi drogati personaggi, a me la cosa fa un po’ ridere e parecchio sospirare. Accostarlo poi a Guerra e Pace – come da raccomandazione in copertina, firmata da James Ellroy, ex buon scrittore ormai perduto – è fuorviante quanto denigratorio. Lev Tolstoj è quanto di più lontano si possa immaginare da Don Winslow, e se non ci credete ne riparliamo nel 2161, fra 146 anni, esattamente quanti separano la prima edizione di Guerra e Pace da quella del Cartello. Nel frattempo, leggete Guerra e pace (Einaudi Tascabili, 1528 pagine in due volumi). A 26 Euro è conveniente, anche nel prezzo.
Valerio Fiandra
(7 gennaio 2016)