Le aziende israeliane e il boicottaggio “Preoccupati, ma non troppo”
Il boicottaggio è un tema che preoccupa molto il governo di Gerusalemme. Per questo la recente decisione del governo britannico di promuovere una legge che di fatto vieti la possibilità agli enti pubblici del paese di boicottare i prodotti israeliani è stata accolto con grande favore dal Premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Voglio elogiare la Gran Bretagna per aver rifiutato di discriminare Israele e gli israeliani, per aver difeso la sola e unica democrazia del Medio Oriente”, il commento di Netanyahu (nell’immagine con il Premier britannico David Cameron a Londra) in riferimento all’iniziativa di Londra: il progetto di legge prevede di vietare la possibilità a qualsiasi ente a partecipazione pubblica di imporre il boicottaggio di un membro della World Trade Organization, di cui Israele fa parte dal 1995. Per queste realtà – come università o unioni studentesche – non sarà possibile escludere l’acquisto di prodotti di aziende che considerano, secondo propri standard, “non etiche”. E se la politica israeliana plaude a questa decisione, una parte del mondo economico sembra proprio snobbare il Bds: da un sondaggio realizzato dall’ente governativo Israel Foreign Trade Risks Insurance Corporation risulta che solo il 6 per cento delle aziende esportatrici israeliane si dichiara preoccupato per gli eventuali danni economici del boicottaggio. Secondo l’indagine, che fa riferimento a 150 compagnie medio-grandi, il 42 per cento ritiene che altre siano le preoccupazioni, ovvero vorrebbe che il governo e i leader economici si occupassero dell’attuale tasso di cambio tra shekel, dollaro ed euro. Tornando al boicottaggio, il fenomeno interessa soprattutto l’Europa e gli Stati Uniti e il presidente di ASHR’A Tzahi Malah non vede questi due mercati nel futuro delle esportazioni israeliane. Intervistato dal sito di informazione economica Globes, Malah ha spiegato che le nuove direttrici che le aziende israeliane stanno seguendo portano in Africa e in Asia. “Il 90 per cento delle assicurazioni nel portafoglio di ASHR’A sono legate ad accordi in Asia e Africa”. E quest’ultima, afferma Malah, costituisce il mercato con il più grande potenziale.
Tra gli scettici sul peso effettivo del movimento Bds (nato una decina di anni fa con l’intenzione di “fermare l’occupazione israeliana in Palestina”, come dichiarano i suoi promotori) anche figure del mondo accademico israeliano. In un’intervista David Newman, rettore della facoltà di Scienze umanistiche e sociali dell’università Ben Gurion, ha affermato che “c’è un brusio dei media generato dal movimento per il boicottaggio e questo è sicuramente spiacevole. Dall’altra parte l’impatto sulla cooperazione accademica e per la ricerca tra Israele e Stati Uniti e tra Israele ed Europa è minimo. Per come la vedo, è inesistente”. Lo stesso Newman afferma però che, soprattutto negli Stati Uniti, il clima che si respira nelle università rispetto a Israele può danneggiare il paese.
E proprio negli Usa il presidente Barack Obama dovrebbe presto firmare una legge simile a quella proposta in Gran Bretagna in cui si condanna ufficialmente il boicottaggio d’Israele. Nella sezione 909 della legge per la Facilitazione e il sostegno del commercio si legge che Washington si oppone “ad azioni politicamente motivate che penalizzino o comunque limitino i rapporti commerciali con Israele, come nel caso di boicottaggi, disinvestimenti o altre sanzioni”.
Daniel Reichel
(18 febbraio 2016)