Il SettimanAle
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Grande ressa di politici all’inaugurazione il 14 febbraio della nuova redazione di Ynet, il website partito come edizione online del quotidiano Yediot Ahronoth e diventato il portale di notizie su internet più popolare in Israele. Fra le numerose dichiarazioni, significative quelle del ministro della Cultura Miri Regev, recentemente oggetto di attacchi per aver interrotto i finanziamenti a enti culturali da lei ritenuti coinvolti in attività contrarie agli interessi nazionali: “Il ministero della Cultura non è un bancomat… La libertà di espressione non c’entra con il ricevere finanziamenti. La libertà d’espressione è nel dna della società israeliana. Chiunque può dire e scrivere quel che gli pare; ma nel momento in cui dobbiamo concedergli un finanziamento, questa è un’altra cosa.”
Affermazioni, da parte di chi aveva precedentemente dichiarato “se ci sarà da censurare, censurerò”, da interpretare alla luce dei provvedimenti già assunti. All’ultimo Festival del film di Gerusalemme, per esempio, il ministro Regev non volle la proiezione del documentario “Oltre la Paura”, che pure non aveva ricevuto finanziamenti dal fondo pubblico per i film (ma il Festival, sì). Il documentario racconta la vicenda della donna che ha voluto sposare, in carcere, l’assassino di Yitzhaq Rabin e, per quanto si astenga dal pronunciare giudizi di sorta, tocca indubbiamente una delle faglie profonde della società israeliana – basti pensare che Rabin era risultato il “più grande israeliano di tutti in tempi” nella graduatoria redatta dallo stesso Ynet nel 2005. Alla fine venne raggiunto un compromesso: il documentario venne fatto vedere, ma fuori dal Festival. Successive proiezioni in altre località vennero cancellate per intervento di politici e attivisti locali, forse incoraggiati dall’atteggiamento del ministro.
L’articolo di Nirit Anderman su Ha’aretz del 4 agosto 2015 raccoglie le reazioni di diverse personalità del mondo della cultura, fra cui Osnat Trabelsi, presidente del Forum dei documentaristi israeliani. Trabelsi aveva difeso Regev, di cui è coetanea e di comune origine “mizrahi”, dalle prime critiche appena diventata ministro, ma sulla vicenda del documentario si è espressa con pacata decisione. “Non volli” interviene Trabelsi “il compromesso di Gerusalemme, ed ho poi espresso la nostra indignazione.” Il suo timore è che ora, quando perfino sindaci e politici locali si sentono autorizzati a cancellare proiezioni, la censura andrà oltre, e smorzerà l’impulso vitale degli artisti, i quali si autocensureranno per paura di guai alle proprie creazioni. “Continueremo a batterci per la libertà di proiettare qualunque film in qualunque posto”, conclude Trabelsi.
Alessandro Treves, neuroscienziato
(21 febbraio 2016)