Putin e Bibi, divergenze siriane
Il futuro del Medio Oriente, e in particolare della Siria, e i rapporti bilaterali tra Israele e Russia sono stati al centro della conversazione telefonica intercorsa tra il Premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin. I due si sono sentiti nelle scorse ore, riferiscono dal Cremlino che annuncia anche un report per celebrare i 25 anni dalla ripresa dei rapporti diplomatici tra Gerusalemme e Mosca. Rapporti caratterizzati dalla collaborazione che ha toccato anche l’esplosiva situazione siriana: l’intervento attivo dell’armata russa al fianco del regime di Bashar Assad ha preoccupato non poco le autorità israeliane, che in Siria hanno colpito più volte – senza mai riconoscerlo ufficialmente – per fermare i rifornimenti che lo stesso dittatore fornisce ai nemici storici di Israele, il gruppo terroristico di Hezbollah. Sulla gestione della crisi siriana e della cooperazione tra i due eserciti, Putin e Netanyahu si sono incontrati più volte proprio per evitare eventuali contrasti. Fino ad oggi sembra che tutto abbia funzionto: in un recente incontro con il direttore del ministro degli Esteri israeliano Dore Gold, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha parlato positivamente dei ripetuti incontri tra il suo presidente e Netanyahu, sottolineando come siano in costante contatto. “La sicurezza della regione è un prerequisito per la pace”, ha dichiarato Lavrov, secondo quanto riporta il Jerusalem Post, affermando poi che la Russia sta lavorando all’interno del Consiglio di Sicurezza Onu per creare le condizioni “per il riavvio del processo di pace tra israeliani e palestinesi in modo che si arrivi al nostro comune obiettivo – due stati che vivono in pace e sicurezza con tutti i loro vicini”.
Secondo Amos Harel, analista militare di Haaretz, potrebbe però il fattore Siria potrebbe, dopo le evoluzioni più recenti, aprire delle divergenze tra Mosca e Gerusalemme. I bombardamenti dell’aviazione russa, spiega Harel, stanno indebolendo i ribelli e permettendo alle forze di Assad di accerchiare Aleppo a nord e di avvicinarsi a Daraa a sud. Le forze di regime stanno quindi guadagnando terreno e, sottolinea l’analista, questo per Israele costituirebbe una pessima opzione “perché vorrebbe dire un rafforzamento dell’Iran, la cui posizione è già migliorata grazie agli accordi sul nucleare di Vienna dello scorso luglio”. Se il regime dovesse conquistare il sud della Siria, per il momento in mano ai ribelli – alcuni dei quali hanno sconfinato venendo curati dai medici israeliani, così come centinaia di civili – e in particolare le Alture del Golan, Israele si troverebbe di nuovo a due passi i terroristi di Hezbollah e i Guardiani della Rivoluzione iraniana. Per questo, si legge nell’analisi su Haaretz, Gerusalemme vorrebbe un maggiore impegno delle forze alleate al fianco dei ribelli considerati moderati, i meno estremisti dei rivoltosi sunniti e le milizie curde.
Daniel Reichel
(24 febbraio 2016)