L’indagine del Pew Research Center Le minacce della frammentazione Israele e la transizione difficile
La società israeliana affronta un intenso processo di mutazione e i problemi sociopolitici all’orizzonte sono estremamente delicati. Ma per valorizzare al meglio le straordinarie potenzialità che hanno consentito e continuano a garantire il miracolo dello Stato ebraico, chiamare con coraggio i problemi con il proprio nome e misurarne l’ampiezza è un passaggio fondamentale. Una società in cui ogni componente tende ad arroccarsi sulle proprie posizioni, un diffuso senso di sfiducia e una diffusa tendenza alla polarizzazione dei suoi componenti, che si allontanano dalle posizioni centrali. Non sono sorprendenti ma colpiscono, i dati della grande ricerca presentata questa mattina al presidente israeliano Reuven Rivlin e che sarà oggetto nel pomeriggio di una symposium intitolato “The Israeli Mosaic: Identity, Society and Religion”.
“Va sottolineato innanzitutto che si tratta di un lavoro importante, oltre che imponente per mole e profondità, fatto da un’organizzazione estremamente seria che con questa ricerca, condotta nel 2014 e nel 2015 su un campione importante di popolazione, ha voluto studiare la società israeliana”. È questo il primo commento del demografo Sergio Della Pergola, professore emerito dell’Università Ebraica di Gerusalemme, che nella ricerca è citato come uno degli “expert advisers”. In seguito al grande sondaggio sugli ebrei americani condotto nel 2013 il Pew Research Center ha deciso di impegnarsi su un’indagine sulla società israeliana che fosse in qualche modo con essa confrontabile, una scelta che ha condizionato la strutturazione della ricerca resa pubblica in queste ore. “In effetti hanno voluto fare in modo che i due questionari fossero comparabili, cosa che ha sicuramente numerosi vantaggi, ma ha anche condotto alla scelta di non fare domande specifiche che sarebbero state secondo me importanti, per esempio sul senso di appartenenza al popolo ebraico, o sull’antisemitismo”.
Più di 5500 rispondenti, suddivisi sia fra Haredim, Datim, Masortim e Hilonim – la quattro “varianti” dell’ebraismo che Sergio Della Pergola ha suggerito di rendere come religiosi (non il più diffuso “ultra-ortodossi”: haredim in ebraico significa “timorosi”, sono la parte più rigorosamente osservante del mondo ortodosso), ortodossi, tradizionalisti “light” e secolari – che alla componente araba della società israeliana, composta di Musulmani, Cristiani e Drusi, un corposissimo set di domande – disponibili in ebraico, arabo, inglese e russo – e mesi di lavoro hanno portato a un report di quasi 250 pagine. Praticamente tutti gli ebrei israeliani si sono autodefiniti Haredim (9 per cento della popolazione ebraica, corrispondente all’8 per cento degli israeliani adulti), Datim, spesso definiti “modern Orthodox” (13 per cento della popolazione ebraica, corrispondente al 10 per cento degli israeliani adulti), Masortim (29 e 23 per cento) e Hilonim (49 e 40 per cento dei rispondenti. L’opinione della componente araba della società è diversa: la media del 64 per cento della popolazione araba che non crede che Israele possa essere sia uno stato ebraico che uno stato democratico mostra posizioni diverse: la sfiducia è massima fra i Cristiani, con il 72 per cento degli intervistati che non lo pensa possibile, per scendere a 63 fra i rispondenti Musulmani e a 58 fra i Drusi. Anche alla domanda se i rispettivi dirigenti stiano effettivamente lavorando per un processo di pace le risposte sono pessimiste: per la popolazione ebraica la fiducia nei dirigenti ebrei è al 56 per cento, e nei dirigenti arabi al 20 per cento, mentre fra la popolazione araba la fiducia nei dirigenti arabi è presente per il 50 per cento dei rispondenti, e la fiducia nei dirigenti ebrei scende al 10 per cento.
Pregiudizi, praticamente di tutti nei confronti di tutti gli altri, sfiducia in crescita e un grande scetticismo su tutti i fronti che – conclude Sergio Della Pergola – devono suonare come un campanello di allarme e un richiamo alla responsabilità dei leader di un paese che non può più aspettare: serve una classe dirigente che si impegni ad avere un effetto positivo su una società molto divisa che pare essere avviata lungo una strada sempre più impervia.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(8 marzo 2016)