“Quei viaggi clandestini sognando Israele”
La vista è incantevole. La dolce campagna dell’aretino, in una calda giornata di sole che annuncia con largo anticipo l’arrivo della primavera. Sullo sfondo il profilo medievale di Lucignano, uno dei gioielli urbanistici della zona. Ma Enzo Belgrado, 94 anni, non si lascia incantare dal contesto idilliaco di questa giornata. I suoi occhi chiari sembrano guardare la vallata circostante, ci spiega, “ma in realtà puntano molto più lontano”. Verso il mare, l’avventura, il sapore di cose perdute che rivivono ogni giorno nelle sue memorie.
Bisogna andare indietro di oltre 70 anni per capire il significato di questo incontro. Enzo, ventenne, è un giovane ebreo italiano con la passione per la navigazione. Costretto alla fuga per via delle persecuzioni nazifasciste, affronta in solitaria (dopo uno straziante saluto ai suoi cari e alla fidanzata, che non rivedrà più) un viaggio che dalla Toscana lo porterà fino all’Abruzzo, a Roma, e poi ancora più a Sud. A piedi verso la libertà, da conquistare con fatica e coraggio.
Enzo affronta prove durissime. Le notti all’addiaccio, il pericolo costante di essere catturato dai tedeschi o segnalato dai delatori. Ma beneficia anche della solidarietà di tanta gente semplice che, incontrata nel cammino, lo accoglierà in casa, lo nutrirà e gli darà la forza (anche psicologica) per proseguire.
Si salva miracolosamente dalla deportazione, o da una fucilazione sul posto, perché ai tedeschi che lo perquisiscono nelle parti intime nelle montagne abruzzesi mostra un prepuzio “normale”, adattato per la circostanza grazie a una grappetta di ferro posta sulla pelle che fortunatamente non si ritrae per via del clima fresco che irrigidisce i tessuti. “Il comandante mi fece: adesso vai via, sparisci, perché i soldati sparano. Il fronte era infatti vicinissimo, la tensione in quei giorni di maggio del ‘44 era alle stelle. Mi misi a correre più veloce del vento, nonostante avessi le costole rotte. Il mio obiettivo era Roma – racconta – dove desideravo unirmi alle forze alleate”.
Ed è qua che inizia la seconda parte della storia.
Le sofferenze accumulate nei mesi precedenti si accompagnano infatti al desiderio di dare un contributo alla causa sionista: la vita che vince sulla morte, la speranza più forte dello sconforto. Enzo è a Roma quando questa viene liberata e sempre a Roma, nei pressi del Tempio Maggiore, fa il suo incontro con la Brigata Ebraica. I soldati sfilano con la stella di Davide, i suoi occhi si inumidiscono. “Quell’incontro ha segnato la mia vita”.
Belgrado mette infatti a disposizione della Brigata tutte le sue energie e, pur non combattendo, si ritaglia un ruolo da protagonista. Attraverso la comunità ebraica di Napoli, la città dove assisterà suo padre nei pochi mesi che gli resteranno da vivere, entra infatti in contatto con chi – a Bari e nel resto del Meridione – sta pianificando l’emigrazione di migliaia di ebrei, sopravvissuti alla persecuzione, verso il futuro Stato di Israele.
È la cosiddetta aliyah bet, l’immigrazione clandestina ostacolata dal governo inglese. Enzo accetta la sfida, consapevole di cosa quei viaggi significhino per tanti suoi correligionari che tutto (o quasi) hanno perso nella Shoah. “A spingermi fu un ideale”, sottolinea con orgoglio. Tre i viaggi cui partecipa come marinaio: uno salpa proprio dalle vicinanze di Bari, gli altri due dalla Campania (tra Napoli e Castellamare) e Marsiglia. “Erano navi piccole, che potevano portare al massimo duecento persone. L’ordine tassativo era di tenere il servizio radiotelegrafico spento: dovevamo essere invisibili” ricorda Belgrado.
Il punto d’arrivo era fissato a nord di Haifa. “Aspettavamo che il mare fosse sgombro, che non ci fossero altri navi in vista. Ci raccordavamo a distanza con i nostri uomini a terra, dell’Haganah. Era quello il momento più snervante e al tempo stesso più emozionante. Snervante perché il pericolo poteva essere dietro l’angolo. Emozionante – racconta – perché segnava per molti l’inizio di una nuova vita”. Gli occhi, continua Belgrado, “avresti dovuto vedere gli occhi di questa gente”. Per i passeggeri di quei tre viaggi, in gran parte tedeschi, la Terra Promessa era infatti “tutto”.
Con la proclamazione dello Stato ebraico, la natura dei viaggi verso le coste israeliane cambia progressivamente. Si affacciano infatti i primi turisti, i primi gitanti “di piacere”. Belgrado nel frattempo ha realizzato il suo sogno: è ufficiale sulla Galilah, orgoglio della Marina. Però più passa il tempo e più sente esaurire lo slancio iniziale. “Mi sono trovato davanti a un bivio: iniziare una nuova vita in Israele, oppure esplorare orizzonti sconosciuti. Ho scelto la seconda strada e non ho rimpianti. Ho avuto infatti una vita lunga, intensa, piena di emozioni. Ho visto i mari di mezzo mondo. Sono sempre stato un uomo libero. Nel mio cuore però Israele c’è sempre. E il pensiero di quei giorni avventurosi – afferma – continua a scaldarmi il cuore anche in questi anni di profonda solitudine”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(16 marzo 2016)