Madri d’Israele – Shoshi
Ad un passo dall’arruolamento nell’esercito israeliano, realizzi d’un tratto che tutto intorno a te muta irreversibilmente.
Improvvisamente ti ritrovi ad immaginare amici e parenti con in dosso una divisa verdognola. Ogni squillo del telefono diventa sinistro e provoca un sussulto, un brivido alla schiena. Il repertorio delle tue conversazioni si riduce notevolmente, sintetizzandosi in brevi spiegazioni su prestigiose unità scelte o semplici ruoli di circostanza.
La quantità di sorrisi che eri abituato a ricevere cala sino ad estinguersi. Caldi abbracci e frasi di incoraggiamento sfumano diventando un dolce e lontano ricordo.
Poi arriva Shoshi, con il suo accento stravagante ed un sorriso contagioso, stravolge tutto e ti ricorda esattamente cosa tu stia facendo.
“Sono nata a Toronto, in Canada, in una famiglia poco religiosa e ancor meno sionista. La prima volta che visitai Israele fu quando avevo sedici anni, in un viaggio che prevedeva come punto di partenza i campi di sterminio Auschwitz-Birkenau, in Polonia, fino ad arrivare al Muro del Pianto, in Israele, nell’arco di pochi giorni”, mi racconta la nostra protagonista, la mia Madre d’Israele. “Tornai in Canada e cominciai l’università, ma dentro di me sognavo ardentemente di trasferirmi in Israele. E così feci nel 2009, all’età di diciannove anni.”
Shoshi Stilman comincia la sua avventura senza esitazioni, si arruola in un’unità che si occupa di intrattenere i rapporti di Tsahal con l’Onu e altre importanti organizzazioni internazionali.
“Per la prima volta in tutta la mia vita sentivo di appartenere a qualcosa, a qualcuno. Per la prima volta sentivo di fare qualcosa di significativo, mi sentivo finalmente cresciuta in quel surreale condensato di vita, mi sentivo una persona migliore.”
Prima di cadere nel banale, passiamo al dunque. Shoshi termina la leva militare e si laurea in Scienze Politiche, comincia a trascorrere le sue giornate come volontaria nel centro per soldati “soli”, arrivati in Israele senza mamma e senza papà. Un centro che porta il nome di Michael Levin, un ragazzo americano arruolatosi con la convinzione di compiere un semplice servizio militare di un anno e mezzo in quanto volontario, ma che decise invece qualche anno dopo di tornare in Israele per aiutare i suoi amici impegnati a combattere la Seconda Guerra con il Libano, nonostante non fosse obbligato a farlo. Michael perse la vita in quella battaglia, ma il suo ricordo è rimasto impresso nei cuori di milioni di persone in tutto il mondo, il suo nome è diventato un simbolo per quei migliaia di ragazzi che, come me e come Shoshi prima di me, decidono di dedicare parte della propria prolungata adolescenza per un ideale che va oltre qualsiasi conflitto secolare.
“Quattro anni dopo che misi piede per la prima volta nel Centro Michael Levin, mi arrivò la fatidica telefonata. Una voce famigliare mi chiedeva se volevo diventare direttrice dell’Associazione e del Centro situato a Tel Aviv, ovviamente non esitai nemmeno un istante prima di accettare. Da allora mi impegno giorno e notte affinché nessun soldato, arrivato in Israele con l’intento e la convinzione di servire il proprio Stato, debba sentire la mancanza di casa. Organizziamo eventi e ci occupiamo di tutti quegli ostacoli burocratici che possono incrociare i nostri ragazzi lungo il loro cammino, ci accertiamo che ognuno di loro abbia un’alloggio attrezzato e confortevole. So di aver fatto bene il mio lavoro solo ed esclusivamente quando uno di loro mi chiama entusiasta per dirmi che ha deciso di stabilirsi definitivamente in Israele una volta conclusa la leva.”
Concludiamo l’illuminante incontro con una nota piccante, un po’ di quel sano gossip che ci permette di tornare a casa soddisfatti e a pancia piena.
“In questo Centro può accadere proprio di tutto”, esordisce ammiccante. “Mio marito Adam l’ho conosciuto proprio quando ero impegnata nel volontariato. Mi avevano chiesto di partecipare alla cerimonia di premiazione di un certo ragazzo americano, arruolatosi come volontario, che si era dimostrato particolarmente attivo e motivato all’interno della sua unità, aggiudicandosi così un prestigioso riconoscimento. Fu amore a prima vista.”
Lo sapevo, dietro l’inscalfibile aria da duri, anche i soldati sono dei romantici.
David Zebuloni
(17 marzo 2016)