didattica della Shoah – In rete per la Memoria

foto1Una giornata dedicata alla didattica della Shoah promossa dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte assieme all’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea, dove insegnanti di diverse scuole della regione si sono riuniti nelle aule del Liceo Cavour di Torino per condividere progetti, scambiarsi idee, consigli, esperienze su un tema così complesso e delicato come quello della memoria della Shoah. Shoah come punto di partenza per poi allargare il cerchio alla xenofobia e alla più generale discriminazione dell’altro. Interventi e workshop tra i docenti hanno costituito lo spunto per maturare proposte di attività che i vari istituti scolastici realizzeranno in occasione del Giorno della Memoria. La marca distintiva di tale progetto consiste nella collaborazione e interazione diretta e costante tra tutte le scuole coinvolte, che vanno a costituire una vera e propria rete per fare della memoria della Shoah uno studio e una celebrazione comune e trasversale, condividendo progetti e soprattutto la formazione che ogni docente con la propria esperienza può veicolare prima ai colleghi e poi agli studenti.
La giornata di lavoro si è aperta con i saluti della Preside del Liceo Cavour, Emanuela Ainardi e dell’Ispettore per la Pubblica Istruzione, Sergio Blazina. Poi la parola passa a uno dei coordinatori dell’iniziativa, David Sorani, docente presso il Liceo Cavour. “ Il progetto nasce dalla volontà di mettere in comunicazione le diverse scuole, dalla primaria, alla secondaria inferiore e superiore, per far si che i docenti abbiano la possibilità di scambiarsi esperienze didattiche”. Poi si sofferma sul concetto stesso di ‘rete al servizio della didattica’ perché oggi più che mai sono i mezzi informatici a poter consentire un approccio diversificato e ampio allo studio e una maggiore fruibilità dei contenuti.
Alcuni interventi di esperti precedono i workshop tra i docenti: per prima prende la parola Alessandra Minerbi, collaboratrice presso il CDEC, che affronta il tema “La legislazione razziale e fascista: aspetti storici e didattici”, cercando di cogliere il senso del percorso storico dal 1938 al 1943 e mettendo in luce gli effetti di lunga durata. Segue l’intervento dello storico Bruno Maida, che parla di “Infanzia e Shoah”. Racconta la persecuzione vista dagli occhi dei bambini, vittime di un’esclusione progressiva che fa perdere qualsiasi certezza. Una certezza che si sgretola fino ad includere la figura dei genitori che, deboli e impauriti, smettono di essere un saldo punto di riferimento. Segue Luca Bravi, ricercatore e docente universitario presso L’Università di Firenze, che analizza la persecuzione dei rom e dei sinti, poi sfociata in genocidio. La loro vicenda assume tratti particolari e all’apparenza contraddittori, spiega Bravi. Erano considerati ariani imbastarditi, ma non per questo sfuggirono alle Leggi di Norimberga: prima vennero isolati in campi al di fuori delle città, poi deportati ad Aushwitz dove in un primo periodo gli era concesso di portare i propri abiti e di vivere in famiglia, donne e uomini, vecchi e bambini. Ma poi nell’agosto del 1944 il loro destino si unì a quello degli altri deportati: vennero mandati nelle camere a gas. Il genicidio e gli orrori dei campi non furono sufficienti a cancellare la discriminazione razziale nei loro confronti. Bravi racconta come ancora nel 1984 in Italia rom e sinti andassero a scuola, ma in classi differenziate. Infine l’intervento dello storico Alberto Cavaglion, che mette in luce le criticità meno visibili della memoria, non solo della Shoah ma anche della Resistenza. Il rischio è di fare della memoria una metonimia, cioè prendere una parte per il tutto dimenticandosi del contesto reale di riferimento, generalizzando un particolare, facendogli così perdere storicità e veridicità. Cavaglion parla di più rischi che si annidano in un uso distorto o superficiale della memoria: commercializzazione della Shoah, banalizzazione e semplificazione del linguaggio ad essa associati, santificazione e sacralizzazione, che rendono la narrazione puntuale di una tragedia più simile a una liturgia. Rischi che chi si occupa di didattica è bene che tenga a mente.

Alice Fubini

(8 aprile 2016)