scuola – L’allontanamento e il ritorno

Diploma Steinberg“Questo Diploma del 1940 è soprattutto un Diploma di discriminazione e pregiudizio, infatti questo è un diploma di Ebreo”.
Scriveva così, con la sua ironica ma severa leggerezza nel 1985 Saul Steinberg, il disegnatore che tutti conoscono per le sue vignette e per le copertine del New Yorker, a proposito del suo diploma di laurea preso al Politecnico di Milano, conferito a nome di “Sua Maestà Vittorio Emanuele III re d’Italia e di Albania e imperatore d’Etiopia” a “Steinberg Saul, figlio di Moritz, di razza ebraica”. È questo uno dei moltissimi documenti mostrati da Analisa Capristo del Centro Studi Americani di Roma nel corso del seminario intitolato “Scuola. L’allontanamento e il ritorno” svoltosi a Roma al centro ebraico il Pitigliani e promosso da Uil Scuola in collaborazione con il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e lo Yad Vashem. La carrellata di Capristo è servita a dare un’idea dell’impatto che le leggi razziste del 1938 ebbero sugli ebrei in Italia, in particolare per la loro esclusione da ogni istituto scolastico e universitario. A completare la panoramica su quella pagina buia anche gli interventi dello storico dell’Università di Udine Fulvio Salimbeni, e di Yiftach Askhenazy dello Yad Vashem, coordinati da Noemi Ranieri, segretario nazionale di Uil Scuola.
Steinberg era nato in Romania, e si trasferì a Milano nel 1933 per poi lasciarla nel 1940 per rifugiarsi in America, fuggendo dalle persecuzioni. Era stato tuttavia un periodo importante per la sua carriera, che diede avvio a collaborazioni con molti artisti e intellettuali italiani, tra cui quella con Aldo Buzzi iniziata proprio all’università, che durarono una vita. Ma gli archivi italiani sono pieni di documenti, registri e anche lettere, tracce degli effetti del decreto legge del 5 settembre 1938 che all’interno del sistema scolastico non risparmiò nessuno. Capristo ha infatti ricordato che a venire espulsi non furono solo studenti e insegnanti ebrei, ma anche personale scolastico, autori di libri di testo, persino i disegnatori delle cartine geografiche appese alle pareti. “A tal punto si volevano estromettere gli ebrei dal mondo dell’istruzione – ha sottolineato Capristo – che fu vietato anche di far ascoltare agli studenti musica di compositori ebei. Si tende spesso a sottovalutare il valore educativo della musica – le sue parole – e sono convinta che questo sia un segnale di una volontà di sradicamento totale di una cultura”.
Un’emarginazione di cui è possibile comprendere ancor meglio l’onta alla luce del forte patriottismo degli ebrei italiani, preso in analisi da Salimbeni. “La componente ebraica fu la punta di diamante del movimento irredentista italiano e in generale fu forte il coinvolgimento nelle lotte per l’Unità d’Italia, ma non bisogna dimenticare anche il contributo dato alla cultura non solo italiana ma europea dell’Ottocento e del Novecento”, ha sottolineato lo storico. “Non si tratta chiaramente di grandi numeri – le sue parole – ma di un grande impegno”. Nonostante l’aver vissuto questo terribile dolore, accanto alla perdita per molti delle proprie intere famiglie, Askhenazy ha posto l’accento sul comune forte desiderio di ritorno alla vita di chi è sopravvissuto alla Shoah, testimoniato in molti casi anche dalla volontà di molti studenti ebrei espulsi dalle scuole di tornare a studiare dopo la guerra. “Tornare a imparare, ad apprendere – le sue parole – significava per i sopravvissuti abbracciare la vita”.

Francesca Matalon

(6 maggio 2016)