Il poeta delle tante identità
Non è mai saggio togliere degli ingredienti a una ricetta. Meglio aggiungere, al massimo sostituire ma sottraendo si rischia solo di danneggiare il piatto. E la stessa cosa vale per la propria identità, spiega a Pagine Ebraiche il poeta israeliano Ronny Someck: andare per sottrazione, togliere o nascondere una parte di sé non è mai una buona idea, “rischi di danneggiare te stesso. Del resto che cosa è meglio: un universo con mille sfumature e colori diversi o un noioso mondo monocromatico?”. Poche parole che ben descrivono la visione del mondo di Someck, emigrato da Bagdad in Israele a un anno e mezzo e considerato, come scrive Ariel Rathaus nella raccolta Poeti israeliani curata per Einaudi, “un tipico interprete dello ‘spirito di Tel Aviv’”. “Someck – spiega Rathaus – ricorda perfettamente le baraccopoli dei nuovi immigrati, e non dimentica neppure Bagdad, ma i suoi versi parlano in toni non polemici della composita identità nazionale israeliana, in cui ciascuno ha un altrove da ricordare”. “Io sono un iracheno-pigiama, mia moglie è rumena e nostra figlia è il ladro di Bagdad./ Mia madre continua a far ribollire il Tigre e l’Eufrate,/ mia sorella ha imparato a cucinare il pirouschky dalla/ madre russa/ di suo marito”, l’autobiografia in versi che Someck regala ai lettori in Poesia patriottica. “Sono arrivato in Israele da piccolino con una scatola piena di memorie – spiega – e la mia patria è l’ebraico”, aggiungendo di essere stato spesso definito come “un uomo-ponte tra culture diverse, tra Occidente e Oriente”. Lo spazio in cui si muove è fatto di parole ma anche di musica e arte: accanto alle dodici raccolte di poesia pubblicate (tradotte in 40 lingue) e ai libri per bambini ci sono gli album di jazz e la passione per la pittura e il disegno. “La cultura per me è come un luna park e io voglio provare a salire su tutte le giostre a disposizione”.
Appassionato dell’Italia, Someck è uno degli ospiti del Salone internazionale del Libro di Torino di quest’anno (due gli appuntamenti patrocinati dall’ambasciata d’Israele che il 12 maggio lo vedono protagonista: a Palazzo Nuovo prima e al Salone poi) e a Pagine Ebraiche racconta di custodire con orgoglio nella propria biblioteca libri di Pier Paolo Pasolini (a cui ha dedicato il disegno qui sopra), Primo Levi, Italo Calvino e, tra gli autori di oggi, di amare molto Erri De Luca. “Anche il cinema italiano mi piace molto. Ogni tanto quando guardo la mia classe vedo i colori forti di Fellini”. Perché Someck è anche docente di letteratura in una scuola di Tel Aviv, lavora con i ragazzi di strada e da anni segue laboratori di scrittura per giovani talenti. “Credo sia importante parlare con i ragazzi che hanno preso schiaffi dalla vita e vogliono restituire il favore. Sono giovani che vivono al limite, per cui le sfumature non esistono. Quando dicono coltello dicono accoltellare. Molte delle cose che dicono sono molto forti e non se ne rendono nemmeno conto. Io cerco di lavorare con loro e con la cultura, con le storie, favorire la consapevolezza che hanno di se stessi e del mondo che li circonda”. Ma da loro il poeta anche impara e trae ispirazione per scrivere: “il mio ebraico varia molto, uso quello del Tanakh così come quello di strada. Non c’è un alto e non c’è un basso e la cosa mi diverte molto. In più qui in Israele la lingua permette di giocare molto, puoi fare un giro del mondo in una sola frase di saluto: ‘yalla, olchim (andiamo), bye, ciao’”. Una realtà eterogenea da valorizzare ma che si scontra con con gli estremismi che in Israele (ma non solo) trovano spazio dove sui social network. “Lì l’uso delle parole è spesso svilito. Non sono contrario di per sé ai social ma mi preoccupano quei gruppi autoreferenziali che parlano di pancia e bastonano chi è fuori dalla cerchia. Persone che sguazzano in una pozza e sono convinti sia il loro oceano. Ma una pozza rimane una pozza. E scusate ma io preferisco nuotare nell’oceano, quello vero”.