Periscopio
Israele ogni giorno
Le celebrazioni per questo 68° anniversario dell’Indipendenza di Israele, così come le commemorazioni per i soldati caduti nel difendere lo stato e per le vittime del terrorismo, nonché per i martiri della Shoah, anche quest’anno, hanno riproposto, in tutti coloro che siano partecipi, in vario modo, delle sorti del popolo ebraico e di ciò che esso rappresenta, antiche e nuove emozioni, riflessioni, trepidazioni. Un rinnovato sgomento innanzi al pensiero di chi è stato travolto dalla più spaventosa ecatombe della storia del mondo, consumata in un’agghiacciante ribaltamento di ogni morale e giustizia; eterna gratitudine per le migliaia di giovani militari che hanno sacrificato le loro meravigliose esistenze in difesa di quel piccolo fazzoletto di terra, che tanto significava per loro, così come per le generazioni vissute prima di loro e per quelle che sarebbero venute dopo; l’orgoglio e l’ammirazione per i meravigliosi progressi raggiunti dal piccolo Paese in innumerevoli campi, nonostante le innumerevoli difficoltà e il continuo stato di guerra; la viva preoccupazione per le sempre vive minacce del presente e del futuro, alimentate da un antisemitismo cieco e rabbioso che, in inquietante crescita in vari continenti, va a gonfiarsi in modo impressionante ai confini di Israele, rendendo terribilmente seri i proclami di violenza e distruzione dei nemici della pace; la ferma determinazione a non cedere mai, a rafforzare gli sforzi a difesa della democrazia, della libertà, della civile convivenza, contro tutti i mercanti di morte e i predicatori dell’odio.
Come disse Golda Meir, il pessimismo è un lusso che gli ebrei non possono permettersi; e io aggiungerei che non possono permetterselo neanche tutti coloro che siano consapevoli che la partita in corso va ben al di là del solo destino degli ebrei. Così come non ci si può permettere la stanchezza. Israele, disse Rabin, non sarà mai stanca di difendersi, e mai stanca di lottare per la pace. E aggiunse, nella medesima intervista, che le speranze di pace saranno tanto più concrete quanto più Israele sarà forte.
Qual è la forza di Israele? Una risposta frettolosa fa pensare immediatamente all’esercito, alle armi. Certo, tutti sanno che, se Tsahal proclamasse con anticipo uno sciopero generale di sei ore, dopo quella data, probabilmente, quel Paese non ci sarebbe più. E questa consapevolezza dà una concretezza tutta particolare a quel sentimento di gratitudine prima ricordato. Ma tutti sanno che i soldati di Israele non sono soli. Accanto a loro c’è l’amore delle loro famiglie, la fratellanza dei loro compagni, il sostegno del loro popolo. Intorno a loro, il contributo di tutti coloro che, giorno dopo giorno, ora dopo ora, fanno progredire il Paese col loro impegno, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle fattorie, nei centri di ricerca, nei kibbùz, nelle Università, nei teatri, nelle Istituzioni, nei giornali, nei tribunali. Dietro di loro, c’è stata la tenacia, la perseveranza, il coraggio di tutte quelle generazioni di uomini che, nei secoli, hanno mantenuto la fedeltà a un antico patto, conservando quell’appartenenza e quella identità che il mondo avrebbe voluto cancellare; la fede di tutti coloro che, dedicando la loro vita allo studio delle Sacre Scritture, in Spagna come in Polonia, in America come in Russia o in Italia, hanno permesso che un’idea di Alleanza, di comunità e di solidarietà restasse sempre viva e attuale, fino a rifiorire, nuova e diversa, grazie al miracolo sionista; la visione di quei pionieri che, nell’ultimo secolo e mezzo, hanno attraversato mari e montagne per cominciare, in Erez Israel, una nuova vita, e di tutti quelli che avrebbero voluto farlo ma non hanno potuto. E, se il resto del mondo è prevalentemente stato, con gli ebrei e con Israele, indifferente, cinico, ingiusto, crudele, non vanno mai dimenticati neanche quei tanti uomini di altre fedi e nazioni che hanno deciso di impegnarsi – anche al costo di pagare un pesante prezzo personale – a difesa degli ebrei, della loro religione e della loro patria, nella consapevolezza che, così facendo, difendevano una certa idea di umanità, un ideale di giustizia. Sarò ingenuo e romantico, ma ho sempre pensato che Israele non sia solo un’indicazione geografica o politica, non stia solo in un certo angolo del mondo, non appartenga solo ai suoi cittadini, o solo agli ebrei. È dovunque, è di tutti, e dovunque e da tutti può e deve essere coltivato e protetto.
Israele è oggi più o meno sicuro di un anno fa, o di come potrà essere tra un anno? La cosa migliore, forse, è evitare di pensarci, e impiegare le energie così risparmiate per impegnarsi, ognuno nel proprio ambito, a posare, ogni giorno, ogni ora, un pur minuscolo seme, una goccia d’acqua, un filo d’erba in quel piccolo giardino, il cui futuro dipende dal contributo di tutti.
Francesco Lucrezi, storico
(18 maggio 2016)