Periscopio – Dove va l’Anpi
Con tutto il rispetto e l’ammirazione dovuto a un’associazione che difende valori essenziali per la nostra civiltà democratica (e nonostante le forti delusioni che ogni tanto ci riserva, con iniziative, a livello locale, quanto meno ambigue e discutibili, nei confronti delle quali appare una colpevole tolleranza o sottovalutazione), disapprovo la decisione presa dall’Anpi, a grandissima maggioranza, di schierarsi apertamente per il “no” al prossimo referendum confermativo della riforma costituzionale, in base alla considerazione che essa metterebbe a rischio i fondamentali principi di libertà custoditi dalla Carta. Una decisione, com’è noto, che ha sollevato non poche polemiche, e che è stata successivamente contestata dalla Confederazione Italiana fra le Associazioni Combattentistiche e Partigiane (che raggruppa 21 associazioni di combattenti e reduci), che ha diffuso, lo scorso 27 maggio, un comunicato, di segno opposto, in cui si sostiene che “la specificità delle questioni poste [dal referendum] sia propria di un’altra sfera di attività rispetto a quelle delle Associazioni Combattentistiche e Partigiane, che hanno invece come proprio compito quello di tramandare la memoria di una grande vicenda necessariamente ‘plurale’ come fu la lotta per la Libertà”, cosicché sarebbe “oggi di fondamentale importanza che sia garantito il più ampio dibattito tra le ragioni degli uni e degli altri, lasciando alla libera e serena coscienza di ciascuno la scelta di cosa votare”.
Ritengo, infatti, che l’aperto schierarsi a favore di una delle due opzioni disponibili nella prossima consultazione referendaria (a favore o contro la riforma) non giovi al prestigio dell’ANPI (un’associazione che, in quanto custode della memoria della Liberazione, patrimonio di tutti gli italiani, dovrebbe sempre restare e apparire rigorosamente “super partes”, apolitica e apartitica [anche se non sempre, devo dire, è parsa tale]) e, soprattutto, al vigore di quella Costituzione che essa dice di difendere. La Suprema Carta, infatti, si difende salvaguardandone i princìpi fondamentali, scolpiti nella prima parte del testo (che non è toccato dalla riforma), ma anche la sua vitalità come legge vivente, bisognosa, come ogni cosa umana, di eventuali modifiche e aggiornamenti. Trasformarla in un testo sacro e intangibile significherebbe fossilizzarla, elevarla al livello di una sacra reliquia, tanto venerabile quanto inutile. E’ ovvio che, sulla bontà della riforma approvata dal Parlamento, i giudizi possono essere diversi, e che il voto per il “no” è perfettamente legittimo, ma considerare illegittimo o “anticostituzionale” quello per il “sì” appare una grave forzatura. Quanto ai paventati rischi di derive autoritarie, che potrebbero scaturire dall’approvazione della riforma, personalmente non li vedo, ma non voglio negare che tali rischi esistano, perché esistono sempre, e sussisterebbero anche (a mio avviso, ma è un’opinione assolutamente personale, ancora di più) in caso di bocciatura della riforma, giacché la storia insegna che tali derive vengono sempre favorite da situazioni di stallo, ‘impasse’ e inefficienza del sistema politico. Considero sbagliata ogni distinzione tra partigiani ‘veri’ e ‘falsi’, così come tra voti ‘buoni’ e ‘cattivi’, e rispetto altamente il parere contrario alla riforma di molti raffinati giuristi. Il fatto che per il “no” siano anche rumorosamente schierati (senza alcuna defezione) tutti i populisti d’Italia è un dato di fatto, ma esso non delegittima certamente il voto contrario di chi ritenga di esprimersi così per sincero sincero amore della democrazia. Ma la domanda che l’ANPI avrebbe dovuto porsi, secondo me, non è quella se la riforma sia buona o cattiva, ma piuttosto un’altra, più importante: dopo il referendum, qualunque ne sia l’esito, la Costituzione della Repubblica italiana continuerà ad essere il patto fondamentale che legherà tutti gli italiani, al di là di ogni differenza di orientamento politico? Ma come potrà continuare a esserlo, in caso di approvazione della riforma, se essa dovesse essere considerata, da una cospicua minoranza di italiani (magari, quasi la metà), un testo contrario ai valori della Resistenza? E non ci sarebbe il rischio che anche quelli che abbiano votato “sì” siano portati a considerare la “nuova” Costituzione più come “cosa propria”, anziché di tutti?
Invitare tutti a comprendere bene il meccanismo della riforma, approfittare dell’occasione per studiare il testo della Costituzione vigente (che molti, tanto tra i fautori del “sì” quanto tra quelli del “no”, non conoscono affatto), farsi un giudizio libero, personale e ponderato, non sottovalutare la scadenza elettorale, andare tutti a votare, votare responsabilmente e, qualunque sia l’esito del referendum, amare e rispettare la Costituzione, sempre e comunque. Questo, mi permetto di dire, sarebbe stato un appello più apprezzabile da parte di chi, come l’ANPI, dichiara di custodire i supremi valori della libertà e della democrazia, che non dovrebbero mai essere oggetto di divisioni e contrapposizioni di parte.
Francesco Lucrezi, storico
(1 giugno 2016)