meritocrazia o fortuna – Il fattore Mona Lisa
Il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz un anno fa ospite della decima edizione di Trento Economia spiegava che nella vita “bisogna sapersi scegliere i genitori altrimenti rischia di andare tutto storto”. Un modo ironico quanto chiaro per fotografare una situazione presente soprattutto in America: nascere in un certo ambiente condiziona le possibilità di avere una buona educazione e, in seguito, ottenere un lavoro ben retribuito. Per dirla in modo più crudo, se nasci povero rimarrai povero (secondo uno studio del Pew Charitable Trust questa equazione è vera nel 70 per cento dei casi). Oppure, viceversa, come dimostra la storia emersa recentemente a Firenze, nascere nella famiglia giusta può fare una grande differenza: nel capoluogo toscano le famiglie che durante il Rinascimento erano le più ricche lo erano ancora nel 2011 (a dimostrarlo, lo studio di Guglielmo Barone e Sauro Mocetti pubblicato su Vox).
Bisogna avere fortuna quindi nella vita. E a dirlo, seppur attraverso un’analisi un po’ diversa, anche il nuovo libro dell’economista Robert H. Frank, docente della Cornell University e autore di Success and Luck: Good Fortune and the Myth of Meritocracy (“Successo e caso: la fortuna e il mito della meritocrazia”). In un articolo sul New York Times Frank spiega che “il talento e l’impegno non sono sufficienti. Anche la fortuna c’entra. Persino le persone più capaci e meritevoli, in Sud Sudan hanno poche chance di successo. Il successo non è garantito nemmeno alle persone meritevoli dei paesi più ricchi, con istituzioni giuridiche, scolastiche e altre infrastrutture sviluppate, ma è significativamente più probabile”. Riconoscere che la fortuna ha un’incidenza nella vita, afferma Frank, non è un modo per svalutare il talento e il merito. Ma, “quasi ogni carriera di successo comprende una complessa sequenza di passaggi, ciascuno dei quali dipende dal precedente. Se uno di questi passaggi precedenti fosse stato diverso, l’intera traiettoria sarebbe quasi certamente cambiata. Inevitabilmente – continua l’economista – Alcuni di questi passi iniziali sono stati influenzati da eventi casuali e apparentemente banali. È dunque ragionevole concludere che praticamente ogni carriera di successo si è costruita attraverso almeno un briciolo di fortuna”.
L’esempio che porta Frank è quello della Mona Lisa, celebre quadro di Leonardo Da Vinci custodito al Louvre e che ogni anno viene visto da sei milioni di persone. La fortuna del dipinto, spiega Frank, dipende soprattutto da un fattore esterno: la sua notorietà trasse enorme beneficio dalla storia che si creò attorno al suo furto nel 1911 dalle sale del Louvre. Tutti i quotidiani dell’epoca ne parlarono e l’immagine della Mona Lisa divenne così familiare a mezzo mondo. La successiva cattura del ladro, Vincenzo Peruggia, diede un’altra esplosione di popolarità al dipinto di Leonardo. “Come Kim Kardashian, si può dire che la Gioconda sia famosa per essere famosa”, scrive Frank.
Questo non vuol dire che la fortuna non possa essere indirizza o agevolata, sottolinea l’economista, in particolare facendo riferimento alla questione dell’istruzione. “Nascere in un buon ambiente è uno dei pochi fattori di fortuna che possiamo controllare – almeno possiamo decidere quanto saranno fortunati i nostri figli. Ma come nazione, è da almeno una generazione che stiamo facendo un cattivo lavoro. I più fortunati diventano sempre più fortunati anche se il loro numero si riduce. La popolazione sfortunata invece è in crescita, e la sua fortuna sta peggiorando”. Come spiega il Post, basandosi su quanto afferma Frank, una delle ragioni di questa crescita della forbice delle disparità è la diminuzione del consenso nei confronti dell’istruzione. “In molti stati americani e in altri paesi la spesa pubblica per la scuola è diminuita negli ultimi anni, – sottolinea il Post – e un’istruzione di qualità rimane in buona parte dipendente dalle condizioni economiche familiari, direttamente o indirettamente. A questo ha contribuito la tendenza umana a sottovalutare il ruolo della fortuna, che ha ridotto la disponibilità dei cittadini a sostenere gli investimenti necessari per rendere possibili i successi personali, dando per scontato che le qualità e l’impegno dei singoli siano un merito dato e un fattore sufficiente”.
“Fortunatamente, c’è un semplice rimedio: – scrive Frank – Il solo spingere la gente a riflettere sulla propria fortuna, secondo uno studio del 2010 pubblicato sulla rivista Emotion, tende a renderla più disponibile a contribuire al bene comune”. Ovvero rendersi conto che la fortuna, come variabile, ha avuto un impatto sul proprio successo personale ci rende più consapevoli rispetto agli altri e più propensi ad aiutarli. Perché anche la fortuna conta.
Daniel Reichel
(3 giugno 2016)
(foto De Agostini/Getty Images)