Venezia, un conte tra i Giusti
Un nuovo ingresso nel libro dei Giusti. Tra gli eroi di Israele e del popolo ebraico figura infatti da questa mattina anche il conte veneziano Alessandro Marcello. Oggi, a Palazzo Marcello, la consegna del massimo riconoscimento dello Stato di Israele direttamente dalle mani dell’ambasciatore Naor Gilon, alla presenza del presidente della Comunità ebraica di Venezia, Paolo Gnignati, e del rabbino capo rav Scialom Bahbout.
Figlio del conte Girolamo Marcello, militare e politico dell’Italia post-unitaria, si distinse durante la Grande Guerra combattendo nella cavalleria, mentre durante il secondo conflitto mondiale fu membro attivo della resistenza partigiana. Nel dopoguerra il conte Marcello si dedicò alla ricerca scientifica e divenne prima procuratore di San Marco, poi presidente del Museo di Storia Naturale e della Fondazione Quierini Stampalia. Durante i mesi più difficili del 1944 trasse in salvo e nascose, nella sua tenuta di Fontanelle, Milan Kon (oggi Cohen) e la sua famiglia, originari di Banja Luka:
“Trovammo rifugio – racconta Milan – in un’abitazione messa a disposizione dai mezzadri del Conte Marcello e lì siamo rimasti fino alla fine della guerra. Solo il conte Marcello, sua moglie e il parroco di Fontanelle sapevano che eravamo ebrei”.
Una storia di sacrificio e coraggio: dalla fuga a Spalato a Follina, all’arrivo a San Donà di Piave e poi di nuovo in fuga verso Oderzo e Fontanelle. Solo a distanza di settant’anni da quei giorni bui Cohen si deciderà a rendere pubblica la sua verità, che lo porterà da Israele, dove si trasferì nel 1949, a far ritorno a Fontanelle per incontrare il conte Marco Marcello, figlio di Alessandro.
“La tradizione ebraica – ha affermato rav Bahbout – riserva un ruolo particolare a coloro che sono chiamati Chasidei Umot HaOlam. La Halakhà stabilisce che dobbiamo essere riconoscenti nei confronti di coloro che ci hanno fatto del bene. Chi ha aiutato gli ebrei salvandoli da morte certa durante il periodo della Shoah, merita riconoscenza. È nostro dovere ricordarlo oggi poichè è la dimostrazione che ci si può opporre alla barbarie anche quando comporta un pericolo per la propria vita”.
(17 giugno 2016)